Relazione di Teodoro Buontempo a Fiuggi - 1995
Pubblico il testo della relazione che Teodoro Buontempo depositò in occasione del Congresso di Fiuggi del 1995. Ne ho una copia per il semplice fatto che collaborai alla battitura del testo nell'ufficio della società di famiglia.
Teodoro a quel tempo era consigliere comunale a Roma e presidente dell'Assemblea capitolina, essendo risultato eletto con il maggior numero di preferenze in occasione delle elezioni del 1994, con 15848 preferenze. Il MSI era risultato il primo partito della Capitale, col 31%.
Teodoro era molto critico - e direi contrario - alla trasformazione in Alleanza Nazionale del suo partito, ma non fu estromesso né abbandonò "casa sua", al contrario di quanto falsamente scritto in vari libri, e continuò il suo percorso politico in AN, fedele e coerente alle sue Idee.
Marco Lombardi
**************************************************************************************************************
XVII CONGRESSO NAZIONALE MSI - DN / FIUGGI 1995
RELAZIONE DELL’ON. TEODORO BUONTEMPO
A volte gli avvenimenti della cronaca politica hanno il sottile sapore della Storia. È il caso di questo congresso. Un congresso indetto per sancire lo scioglimento del MSI è atteso, studiato, temuto e guardato da tutti i commentatori italiani e stranieri quasi fosse l'avvenimento di maggior rilievo della politica italiana. Ecco perché ci siamo preparati a questo incontro con grande senso di responsabilità, partendo dalla piena consapevolezza che una comunità umana, come la nostra, forgiata da cinquant'anni di sacrifici e di discriminazioni, deve essere in grado di guardare al futuro per spiegare ai nuovi amici e simpatizzanti le ragioni di tanto sacrificio.
È per noi, per tutti noi, motivo di orgoglio sottolineare il grande ruolo del MSI anche quando esso raccoglieva appena il 6% di consensi elettorali. È appena scoccata l'ora della grande rivincita morale di questo partito e consentitecelo non ce la vogliamo fare sciupare. Non è davvero colpa nostra, come comunità umana, se di fronte ad un mondo corrotto, avvilito dal materialismo e dalla partitocrazia, le aspirazioni del nuovo vengono ricercate in quei valori dello spirito, in quella cultura umanistica che ha sempre caratterizzato “l'humus” fisiologico da cui ha preso le mosse il MSI.
Ecco perché non concordiamo con la tesi “chiudiamo il MSI ed apriamo AN” senza che venga assaporato da tutti noi il gusto della vittoria che il MSI ha conseguito. Una vittoria democratica ed elettorale il 23 Novembre’93, una vittoria culturale con il riconoscimento delle sue istanze sociali, nazionali e morali; una vittoria politica per la coerenza e lo spirito di sacrificio che essa ha comportato. L'operazione di trasformazione del MSI in AN, pur volendo riconoscere secondo quanto ha detto l'On. Fini, che si tratta di una trasformazione e non di scioglimento, perché “si scioglie chi è fallito e si trasforma chi è vincente”, non ci trova convinti perché manca un'analisi articolata del ruolo che il MSI ha avuto in tutti questi anni di fronte alla degenerazione del sistema.
Ecco il ruolo del MSI: di testimonianza, di caparbia opposizione alla mercificazione della Storia... per andare oltre.
Ma la presenza del MSI è stata tanto significativa in quasi 50 anni di vita parlamentare che neppure le bombe e gli ordigni incendiari e le persecuzioni di regime sono riuscite a spegnere. Il MSI era ed è la “voce” degli italiani. Un ruolo ricoperto con spirito di sacrificio, abnegazione, testimoniato dalle infinite battaglie di moralizzazione condotte dai suoi esponenti tutti di vertice e di base. Ecco perché non possiamo consentire a nessuno di essere stato colpito solo sulla via di Damasco verso AN dalla scoperta dei valori cristiani, dell'avversione al razzismo, dal ripudio di ogni forma di dittatura e totalitarismo. Perché come diceva Pound:
“l'etica della terminologia consiste nel non essere ambigua”.
E queste affermazioni sono davvero inquietanti.
Perché i casi sono due: o il MSI è stato un partito razzista, antisemita, dedito alla violenza e che auspicava l'avvento di un regime dittatoriale, come si lascia trapelare da alcune dichiarazioni irresponsabili, e tutto questo se documentato getterebbe un ombra incancellabile su tutta la comunità missina, ma più di tutto sul Segretario che è del partito il responsabile politico, morale ed organizzativo; oppure queste affermazioni, come io ritengo, sono false, destituite di ogni fondamento e sono perciò funzionali alla criminalizzazione del MSI per giustificarne lo scioglimento, gradito dall'antifascismo dei salotti buoni della finanza (l'articolo di Guzzanti su “Donna moderna” era difatti un suggerimento su questa via).
Ecco perché citavamo Cicerone, come “diffida” a raccontare fatto non veri:
1) il MSI non ha mai esaltato il razzismo, stante la sua visione spirituale della vita, semmai in tutti i suoi documenti esiste uno squisito spirito di rispetto per tutte le nazionalità minacciate proprio dalla omologazione “mondialista” che rappresenta il vero “totalitarismo” (a nostro avviso, ma non solo) del terzo millennio.
2) Nella concezione etica dell'uomo e della società su cui poggia la speculazione politica del MSI sono ben presenti i valori cristiani;
3) la visione nazionale ed europea che ha caratterizzato tutto il cammino del MSI non ha nulla di “totalitario” (come d'altronde Fini ben sa, essendo Segretario di questo partito da quasi sette anni tra alterne vicende) se per “totalitario” si intende la negazione della libertà al dialogo ed al confronto.
Aspettiamo AN alla prova del rispetto delle opinioni...
Se per visione “totalitaria” si intende invece quella particolare concezione della Stato che ha avuto la sua realizzazione sotto il Fascismo, la precisazione storica è d'obbligo. “È il passaggio del liberalismo dalla suo forma irrazionale e anarchica a quella organica e disciplinata, è il trasformarsi dell'opposizione più o meno radicale alla autorità e alla realtà dello Stato nel riconoscimento del suo universale valore immanentistico” (Spirito)
Spirito inoltre precisa “proprio nello Stato moderno la massa stessa si articola, si eleva, fa sentire la sua volontà (così come lo stesso ordinamento giuridico riconosce) allorché affida ad essa il compito di votare, vale a dire di porsi a tu per tu con la suprema autorità governativa e riconoscerla o disconoscerla, darle o toglierle il governo”.
Mi sembra che questa fedeltà tra governati e governanti debba essere poi una preoccupazione della stessa democrazia. Ci sembra doveroso insistere su di una interpretazione finalmente consona di un termine di cui si abusa molto nella propaganda politica, ma che merita la dovuta riflessione.
Questo principio “totalitario” infatti non significa soltanto “tutto nello Stato”, come dispregiativamente è indicato nella tesi del Segretario, ma soprattutto la coscienza profonda del contrario “tutto lo Stato nell'individuo”. Che poi è l'intuizione profonda dell'attualismo gentiliano, ripudiando la quale il soggetto politico AN non può indicare tra le tante paternità quella di Giovanni Gentile.
Allo stesso tempo le argomentazioni della presente tesi vogliono essere una risposta costruttiva all'invito di Fini di “fare la massima chiarezza sul futuro della Destra per arricchirne il contenuto e fare finalmente una Destra moderna e vincente in grado di ridare “l'Italia agli italiani”. Affermazione quest'ultima impegnativa perché è a tutti noto che 50 anni di ricatto “antifascista” astutamente capitalizzato dalla partitocrazia e fomentato da tutta la cultura di sinistra e comunista proprio questo hanno impedito.
Come ebbe a denunciare lo stesso Berlusconi in un intervento televisivo quando esplicitamente affermò “basta con il ricatto antifascista”. Un ricatto (iscritto nello stesso Trattato di Pace, quasi una maledizione che debba colpire tutte le nuove generazioni in Italia) che non ha consentito agli Italiani proprio il superamento delle lacerazioni dell'ultima guerra!
A questo punto è d'obbligo un interrogativo morale prima che politico: ma non era questa proprio la “suprema” ambizione ideale inscritta nel codice genetico del MSI? Perché non rivendicare in AN, da parte del Segretario del MSI Gianfranco Fini, la tensione più genuina e più limpida del suo illustre maestro Giorgio Almirante?
Non è proprio questa l'eredità morale che egli aveva l'onore e il dovere di portare alta dopo avere ricevuto in consegna la “segreteria”? Giorgio Almirante sul concetto fu molto chiaro:
“il MSI è nato per raccogliere la voce dei vinti, i reduci della RSI, gli epurati e tutti coloro che risultarono vittime nell'ultimo conflitto. Erano milioni e noi abbiamo inteso lottare per giungere al riconoscimento di pari diritti e doveri tra gli Italiani, per giungere finalmente alla Pacificazione”.
Siamo sicuri che AN risponda a questi requisiti morali prima che politici? Certo l'affermazione di Fini che “l'antifascismo fu in momento storicamente essenziale per i ritorno dei valori democratici che il Fascismo aveva conculcato” ci sembra quantomeno una netta inversione di tendenza verso quell'anelito di “Pacificazione” come la intendeva Almirante.
Anche perché qualcuno tra cui lo stesso Fini ci deve spiegare in che cosa consistano questi “valori democratici” che l'Antifascismo ha consentito agli Italiani, visto che la storia del MSI è proprio una lunga lotta contro le discriminazioni che il nostro partito ha subito. E non per monotonia, ma per dovere di cronaca facciamo nostra, di tutti noi, di tutto il popolo missino la frase di Giorgio Almirante:
“noi i galloni della libertà ce li siamo conquistati sul campo”. Come dire che lezioni di libertà, di democrazia, di rispetto delle regole democratiche noi missini non le possiamo certo assumere dall'Antifascismo che le ha strapazzate tranquillamente in questi 50 anni. E non solo. Che ha imposto in Italia una sovranità limitata e ne ha minacciato la libertà con la strategia degli opposti estremismi ed un uso criminale dei servizi segreti. E dove stavano i “valori democratici” dell'“Antifascismo” quando in Italia era vietato essere di destra e la televisione di Stato riusciva a speculare persino sul sangue dei giovani caduti? Dov'erano questi campioni della democrazia quando “ammazzare un fascista non era reato”?
È questa la democrazia che vogliamo salvare in questa svolta profonda quando il Paese guarda a noi con simpatia, ma soprattutto con fiducia? Anche noi diamo ragione a Buttiglione quando dice: “allorché i cambiamenti sono epocali le questioni filosofiche hanno valore “costituente”“.
Si dà il caso però che i valori costituenti cui anela Buttiglione siano proprio quelli funzionali alla ricostruzione, alla rifondazione di quel grande apparato che egli chiama il “partito nuovo”, che una volta era la vecchia DC o bianca che dir si voglia.
Non si assume Fini una grande responsabilità di fronte al popolo missino, convinto di essere arrivato addirittura al governo, di rischiare di consegnare la “nostra” vittoria, la “nostra” svolta ad un progetto, che si sovrapponga al suo, che si sovrappone al nostro e che rischia di essere funzionale alla restaurazione di quel centro paludoso ed infetto che è la DC?
Il popolo missino è sì generoso e certamente a tanti risulta incomprensibile la nostra ostinazione contro lo scioglimento del MSI, vista quasi come un sabotaggio alla nostra inarrestabile funzione di governo. Lo sforzo quindi della presente tesi è quella di dimostrare esattamente il contrario.
Al governo del Paese ci dobbiamo andare per l'intima convinzione di noi stessi, della nostra forza morale prima ancora che politica. Non già per fare tappezzeria come la recente esperienza pseudo-governativa ha dimostrato, ma per dare garanzia ai problemi della gente che siamo noi la parte sana del paese. Personalmente mi onoro di aver conseguito, a nome del MSI la più prestigiosa veste istituzionale dell’Amministrazione capitolina, la carica di Presidente del Consiglio Comunale e di averla difesa, anche in solitudine, non certo per fatto personale, ma come bandiera di vero governo consegnata al MSI. Altri hanno ritenuto di svenderla e se ne debbono assumere la responsabilità prima ancora che davanti agli elettori davanti alla comunità missina, che con tanto orgoglio l'aveva conquistata.
analisi del cambiamento
Il cambiamento in atto è totale e planetario, si ribaltano sistemi di valori (sono sotto gli occhi di tutti gli italiani le macerie del sistema partitocratico) sono rimessi in discussione progetti e ambizioni, modelli di società e di comportamento, identità e soggetti di rappresentanza per approdare ai lidi più profondi dell'uomo: la sua etica. Le minacce che incombono sono tante; molte riconducibili ad un dato unitario che le caratterizza: quello materialistico. La crisi più grave è quella che ha investito l'uomo, ridotto a fragile oggetto di manipolazioni multiple con le moderne tecniche di persuasione occulta degli strumenti di comunicazione di massa (per non parlare delle allarmanti notizie di operazioni di ingegneria genetica); “il problema non è cambiare gli apparati e le gestioni economiche ma l'impostazione profonda della società.” (Vintila Horìa). Non dimentichiamo che tutto è stato da tempo rimesso in discussione: usi, abitudini, costumi non trovano più una collocazione propria nella memoria collettiva. Logico dunque che in quest'ottica sconvolta l'uomo del nostro tempo abbia perduto la sua identità e sia alla perpetua ricerca di sé stesso; dei suoi rapporti con gli altri, delle ragioni più profonde del suo vivere. In altri termini fino a quando gli uomini e la “politica” potranno chiamarsi fuori dalle responsabilità di un sistema che alimenta sé stesso, le sue perversioni, rinviando alle future generazioni l'onere di pagare i suoi fallimenti?
Dall'indebitamento pubblico all'inquinamento ambientale, dal depauperamento delle risorse agricole, paesaggistiche, artistiche per incuria, al crollo dei sistemi di sicurezza sociale per denatalità la società consumistica è riuscita a dilapidare risorse accumulate da intere generazioni. Grazie a Dio come MSI possiamo vantare con orgoglio il primato della denuncia dell'immoralità di questo sistema. Un'immoralità che non nasce solo dalla constatazione di un'intera classe politica finita nelle patrie galere, ma insita nella stessa assenza di limiti e di regole dello stesso apparato produttivo. È questa l'eredita che vogliamo lasciare alle future generazioni oppure non è giunta l'ora di mettere sotto accusa proprio il “TOTALITARISMO” dolce della società dei consumi, fondata sull'attiva amicizia con gli oggetti? Una società quella dei consumi, ci fa notare Solgenitsin (che pure di dittatura se ne intende), che ha concesso delle libertà dove non sempre erano necessarie, solo per toglierle dove erano indispensabili. Ma la musica è finita, come è finito il falso miracolo economico che in nome dell'egualitarismo ha smantellato ogni “memoria morale” e persino il banale buon senso per un biglietto al “supermercato della banalità”. Quando i mutamenti della Storia sono così radicali e profondi come quelli che stiamo vivendo questi non possono essere governati esclusivamente dai rapporti produttivi perché si finirebbe per scambiare l'interesse economico del profitto per quello ben più vitale dei popoli. Non è forse questa la portata storica anzi rivoluzionaria proprio dell'enciclica Centesimus Annus di Giovanni Paolo II quando afferma:” è necessario farsi guidare da un'immagine integrale dell'uomo, che rispetti tutte le dimensioni del suo essere... al contrario, rivolgendosi direttamente ai suoi istinti e prescindendo in diverso modo dalla sua realtà personale cosciente e libera si possono creare abitudini di consumo e stili di vita oggettivamente illeciti e spesso dannosi per la sua salute fisica e spirituale”.
Invece non è proprio questa “ideologia” del consumo che ha spinto i governi di 125 paesi sotto l'egida statunitense a sottoscrivere l'accordo GATT per la mondializzazione dei mercati? Un accordo che l'Accademico di Francia d'Ormesson ha definito una “liberalizzazione liberticida”, per mitigare la quale è stato creato l'OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio, da cui peraltro è esclusa l'immensa Cina) il cui compito sarebbe quello di vigilare affinché non prevalgano “la legge mercantile dei paesi più forti o la pressione destabilizzante dei più deboli”. E nessuno ci venga a parlare dei “vantaggi” economici sia dell'accordo sia dell’OMC se dobbiamo prendere per buone le previsioni di uno studio della Banca Mondiale sull'argomento: “una lusinghiera crescita della produzione mondiale di 213 miliardi di dollari annui in più”, che fatti i debiti calcoli e andando tutto per il meglio porterebbe ad ogni abitante dei paesi interessati un guadagno di 3 dollari mensili, ma per alcune economie nazionali, non ultima l'Italia, il costo sarebbe devastante. Ecco perché sull'argomento diventa preziosa la testimonianza di un addetto ai lavori, l'economista Konrad Seitz (attualmente ambasciatore di Germania presso il Quirinale) autore del libro “la guerra commerciale nippoamericana” in cui dichiara testualmente: se l'Europa non potrà difendere il proprio patrimonio produttivo dalle velleità egemoniche dei due colossi, essa è inesorabilmente destinata a diventare una “colonia economica di Washington e Tokyo” con conseguenze irreversibili sullo sviluppo dell’UE e relativo crollo dei livelli occupazionali”. Al contrario l'Italia, ha sostenuto Seitz in un incontro informale, per le sue caratteristiche e per le sue potenzialità non deve rassegnarsi ad essere l'anello più debole e più vulnerabile dello sviluppo comunitario. Tesi questa che come ambiente umano e politico del MSI abbiamo sempre sostenuto con forte determinazione.
È dunque con questi grandi scenari internazionali insieme alle tematiche sull'ecosistema ed all'analisi delle cause strutturali della disoccupazione che “deve” misurarsi la “nostra” cultura, il “nostro” progetto di sviluppo, la “nostra” concezione della vita e dell'uomo.
La tesi congressuale di Fini invece sull'argomento della mondializzazione è molto duttile presentando il fenomeno come “ineluttabile” per la caduta delle tensioni tra i blocchi che “postula l'accelerazione della realizzazione di una nuova e più equa divisione internazionale del lavoro tra le varie parti del nostro pianeta”. Come dire che secondo questa più equa divisione internazionale del lavoro nulla osta che il mercato internazionale sia in futuro invaso da fiumi di “Kianti” californiano o da sedicente parmigiano bulgaro.
Altro che “nuova economia” che seppe dare negli anni Trenta risposte concrete a quello che è il limite strutturale del Capitalismo: la sovrapproduzione!
Siamo agli antipodi, siamo alla istigazione alle economie mono-produttive (ovvero specializzazione soltanto in produzioni uniche: petrolio, legno, gomma, oro, ecc.) che trasformano ben presto i paesi ove vengono realizzate in deserti o lande desolate. I popoli sono così ridotti al rango di semplici “consumatori” per alimentare i “profitti monetari” dello Stato che emette la moneta dominante usata per gli scambi internazionali. Il principio sembrerebbe fondato perché ogni paese vendendo all'estero quest'unica merce in cui è competitivo, ricava la valuta necessaria a comprare le merci che non sa produrre al costo più basso dei paesi che le producono più economicamente. È la sua concreta applicazione che è devastante. Gli Stati devono cessare di perseguire l'autosufficienza anche delle produzioni strategiche (per esempio il fabbisogno alimentare interno) per accettare di diventare dipendenti dall'estero in un quadro di generale interdipendenza.
Siamo al dogma puro di Adam Smith, il principio del “vantaggio competitivo”, caposaldo del liberismo assoluto del XVIII secolo, teoria che dall'economia del baratto a quella delle banche disattende completamente il ruolo dello Stato. Questo viene visto come “gendarme” e se un ruolo deve avere può essere solo il garante della “libera concorrenza”. Osserva Spirito: “Allo Stato tale scienza dice: non fare, all'individuo: fa quel che ti pare”. Per arginare lo scontro degli egoismi che una simile scienza postula subentra la Scuola Psicologica per raggiungere il livellamento totale dei gusti che renda uniforme il tipo di essere umano duttile al progetto. A ben vedere non è questa l’”omologazione mondialista” perseguita dai moderni mezzi informatici e multimediali della comunicazione di massa per piegare popoli e nazioni alle esigenze della produzione?
È dunque alla luce di questi cambiamenti o per lo meno in vista della loro concretizzazione che non può “vivere” una voce di dissenso profonda come il MSI. Anzi addirittura leggiamo nella rivista “Centrodestra” di Tatarella la seguente sentenza: “È esaurito il ruolo storico dell’MSI “. L'hanno sentenziato anche i giornali che da oltre un anno danno per defunto un soggetto politico che doveva celebrare ancora questo congresso! Non è forse perché accanto alla critica al Marxismo il MSI ha raccolto le testimonianze, le speculazioni scientifiche che muovevano una altrettanto dura critica al Capitalismo liberista per la ricerca della “terza via” mediante la grande intuizione dell'idea corporativa? Non avevamo forse un importante centro di Formazione che si chiamava Istituto di Studi Corporativi diretto da Gaetano Rasi che stante il nuovo corso è stato anch'esso messo in liquidazione? Da che cosa è dettata questa fretta di smantellamento, di rimozione? Si ha forse paura di scoprire che le attualissime denunce contro il capitalismo mosse dal Papa coincidono con le stesse analisi proprio di tutto il pensiero speculativo della destra sociale e politica?
Con rammarico poi non abbiamo più trovato il nome di Pound nel nuovo progetto di AN così come elaborato nella tesi congressuale di Fini. Forse perché non è “politically correct” denunziare l'usura specie quando essa rappresenta il grande flagello del Terzo Mondo?
E ancora si ha forse paura di ammettere che il MSI è stato per quasi 50 anni all'opposizione di un sistema corrotto in forza di una visione spirituale della vita mentre l'Italia è stata portata alla rovina sotto l'egemonia di un partito cristiano?
“Un sistema che ha visto un partito cristiano detenere la funzione di guida prevalente della politica italiana e pure, come ha sostenuto Del Noce, in questo periodo è avvenuto il massimo processo di scristianizzazione che mai si sia dato nella storia del nostro paese”. Certo non si può pensare che certi processi siano oggettivi, del tutto indipendenti da coloro che detengono il potere. Quanto meno si dovrà dire che l'egemonia di un partito cristiano è stata inutile in termini di difesa dei valori religiosi ed etici oltre che storici e comunitari.
E allora perché non riconoscere al MSI anche questo merito, di avere cioè esteso i valori morali ai valori sociali, anzi di averne fatto il cardine del ruolo politico come oggi risulta in tutta evidenza? Tutto quanto sopra vuole forse dire che ha ragione Accame? Su “Pagine Libere” denuncia infatti l'ambiguità del nuovo sistema maggioritario e afferma: “In effetti sono anni che chi disegna una destra “pulita” l'immagina all'inglese, braccio politico-culturale del neocapitalismo, così chi immagina una sinistra “pulita” la vuole presentabile alla City di Londra e clintoniana come quella del direttore dell'Unità Walter Veltroni. Un perfetto gioco delle parti, insomma, in cui destra e sinistra siano come altrove intercambiabili, limitando i loro bisticci a questioni marginali, ma restando sempre al di sotto dei poteri forti, rispettosi della mano occulta che governa il mercato.” (Ottobre’94).
Se questo è il meccanismo del maggioritario più che mai AN ha bisogno del MSI, perché vedi, Fini, siamo troppo innamorati dell'Italia per vederla ulteriormente rovinata da questo gioco delle parti. Vedi, Fini, a noi dell’MSI le parole di Giovanni Gentile pronunciate nel famoso discorso in Campidoglio bruciano nel sangue e le vogliamo ricordare: “È l'Italia che deve esistere nel mondo come una realtà viva e presente e non come un semplice ricordo: deve, come i monumenti più pregiati degli antichi perpetuarsi nell'amore e nella cura dei viventi a cui spetta di conservarli...”
È l'amore per l'Italia che ha spinto tanti italiani ad onorare l'esperienza della R.S.I., e l'amore per l'Italia che ha spinto i padri fondatori a creare l’MSI che con l'impegno e l'ostinazione di tanti italiani è riuscito ad arrivare alle soglie del Terzo Millennio.
Ebbene è lo stesso amore per l'Italia a far alzare alta la nostra voce, certamente critica, ma di sostegno al progetto A.N.
NUOVO UMANESIMO E TERZA VIA
Giunti come siamo al bivio del Terzo Millennio non possiamo non rivendicare con orgoglio alla nostra comunità umana e politica il meraviglioso sforzo di dare risposte concrete alle angosce del mondo moderno. L'aver ostinatamente rivendicato in tutta la nostra pubblicistica la necessità di una visione “organica” della società fondata sulle più intime esigenze dell'uomo e delle sue radici ci consente di essere interlocutori aperti al mondo della politica. Ecco perché è arrivata l'ora delle scelte e delle risposte.
Dobbiamo rompere il buio della rassegnazione, del persistente rifiuto dell'uomo a ritrovare la volontà come espressione di autentica libertà. “Quando la volontà manchi non c'è diritto che possa concedersi o negarsi”. Così l'annichilimento di ogni vita interiore è il tarlo che corrode le coscienze, che abbrutisce le comunità, che fa vincere l'egoismo su ogni ragionevole consenso. La società del “finto benessere” e gli ordinamenti politici ed economici che ne sono derivati hanno uniformato l'uomo, reso atomo di una massa informe, privo di vita interiore.
Privo di entusiasmo, l'uomo è incapace di aderire non già ad una teoria, ad un'idea, ma a qualcosa di vivo, reale o ideale. E neanche l'antropologia marxiana dopo che tanti cantori l'hanno ossequiata nella cultura, nel giornalismo, nella scuola può oggi discolparsi verso questo abbrutimento. Figuriamoci poi dopo che il crollo del muro di Berlino ha portato alla luce del sole le macerie morali, economiche e nazionali, di quella “barbarie dal volto umano” che si chiama comunismo. Ecco perché i sistemi, le configurazioni politiche, le linee di sviluppo debbono poggiare su di una nuova dimensione dell'uomo.
“L'uomo è libero, scriveva Gentile in “La Religione “, non in quanto si realizza come corpo, né come anima, psicologicamente intesa, ma solo in quanto si realizza interiormente, come coscienza di sé, come essere pensante, perché la vita umana è vita spirituale.”
Ecco il senso moderno della libertà, non come diritto naturale astrattamente inteso ma come realizzazione della personalità. Libertà come responsabilità; libertà come iniziativa nei confronti dei valori; libertà come accettazione dell'altro inteso come sé medesimo. Essere liberi per restare sé stessi, consapevoli del proprio destino, come parte integrante di un “tutto” ordinato all'evoluzione armonica della comunità in cui vive, con obiettivi che esaltino, anziché deprimere, la personalità.
La nostra “alternativa” al marxismo e al capitalismo, cioè ai due materialismi che hanno imperato nel mondo finché il primo non è crollato per le sue intime contraddizioni, rispetta i valori profondi dell'uomo, accetta la sua storia, si guarda dall'ignorare il passato pur guardando prevalentemente al futuro.
Un'alternativa che sentiamo riecheggiare in una voce autorevole come quella del Pontefice in passaggi significativi e ripetuti in diverse Encicliche: dalla “Laborem Exercens”, alla “Sollecitudo Rei Socialis”, dalla “Centesimus Annus”, alla stessa “Mater Dei”. Nella “Sollecitudo Rei Socialis” è espressamente manifesta la critica “nei confronti sia del capitalismo liberista sia del collettivismo marxista”. Siamo nel 1988, prima del crollo del muro di Berlino, ove, alla fiduciosa e messianica forza del progresso sul quale il primo è fondato, sostituisce il concetto più meditato di “sviluppo” (come riflessione sulla modernità). Ma l'aspetto più significativo dell'enciclica che in questa sede vogliamo cogliere è la denuncia del carattere “ideologico” della struttura del mercato così come è concepito nel sistema di quello che oggi viene definito il “capitalismo maturo”.
“Sotto certe decisioni apparentemente ispirate solo dall'economia o dalla politica si nascondono vere forme di idolatria del denaro, dell'ideologia, della classe”, mascherati, aggiungiamo noi, dietro solenni enunciazioni di principi sulla libertà e sulla giustizia che restano validi purché astratti. Ma il Pontefice Giovanni Paolo II precisa meglio: “Ognuno dei due blocchi a suo modo nasconde dentro di sé la tendenza all'imperialismo o a forme di neocolonialismo”.
Ma fallito il comunismo forse che il primo si è autolimitato o non ha forse colto l'occasione, che stiamo vivendo in questi anni, di espandere la sua area di influenza tanto da piegare ogni forma di resistenza al suo dominio? E forse che la moderna schiavitù o forma di neocolonialismo sofisticato, così come denunciato proprio dall'attuale Pontefice, non consiste proprio nell'imporre ai popoli una pura esistenza economica di “consumatori”?
Nella sua opera “De la democrazia in America” del 1840, Tocqueville ci dà una immagine profetica della futura società: “Al disopra di costoro (il popolo reso massa anonima) si erge un immenso potere tutelante che si cura soltanto di provvedere ai loro piaceri e di vegliare su la loro sorte. È un potere assoluto, articolato, regolare, preveggente e dolce. Rassomiglierebbe alla potestà paterna, se come essa preparasse gli uomini all'età virile, invece esso cerca soltanto di mantenerli in perpetua infanzia”. Ma la rimozione della memoria storica e della coscienza critica come effetto dei messaggi subliminali dei media non è forse funzionale ad un processo tendente a questo scopo? Quello di ridurre la capacità attitudinale dell'uomo a ritrovare in sé e nella propria interiorità le risposte da dare alla società e alla vita? È un fenomeno che lo scrittore tedesco Hans Magnum Enzenberger definisce “l'analfabetismo secondario”: un individuo senza memoria, discontinuo ed incapace di concentrazione. L'analfabeta secondario “è il prodotto della nuova fase dell'industrializzazione. Un tale ordine economico il cui problema principale non è più la produzione bensì la vendita, ha bisogno infatti di consumatori “qualificati”. La soluzione adeguata la si trova nella televisione, mezzo d'informazione ideale per l'analfabeta secondario”.
Come si vede sono scenari angoscianti sui quali una comunità umana, oggi quella congressuale, domani quella nazionale, deve riflettere per “capire” il cambiamento. Ecco perché ribadiamo con forza che la nostra opzione di fondo è una vera e propria scelta di civiltà. Questa si fonda sul principio di riconoscere all'uomo il diritto di “amare” una terra, di “amare” le proprie tradizioni, di “amare” il lavoro, di “amare” la Nazione che una volta si chiamava Patria. Contro i veri valori sono stati costruiti i ritmi martellanti di una società senza senso, senza regole, senza morale, senza intelligenza, senza ... anima. Osiamo dire, come sostiene Esser, uno studioso in materia, che persino la droga è un mezzo che i giovani scelgono per costruirsi un gruppo di appartenenza meno ipocrita di questa società dei consumi.
Oggi la sfida della politica è tutta qui: di consegnare ai popoli un destino diverso da quello delle “galline livornesi, rinserrate in spazi angusti solo per produrre uova”, descritteci da Konrad Lorenz, e che malauguratamente ritroviamo nelle megalopoli, costruite come “batterie da stalle per uomini da lavoro”.
LA QUESTIONE NAZIONALE
IDENTITA'
Cardine della politica è quindi affrontare la questione nazionale. Quella questione nazionale che “fuggendo in Europa” pensavamo di aver risolto: semplicemente liberandoci dell'Italia, per liberarci dei mali che l'affliggono. Oggi invece che i duri, durissimi trattati di Maastricht e gli accordi internazionali che seguono all’Organizzazione Mondiale del Commercio prevedono lo smantellamento degli Stati, la omologazione delle Nazioni, la cancellazione di identità e culture nazionali, ci rendiamo conto che solo “lucidando l'argenteria di famiglia” e valorizzando l'Italia avremo un futuro nello scenario mondiale.
Identità e nazionalità che non significano chiusura alla collaborazione e alla integrazione, al contrario significano rilancio dell'economia, dell'occupazione, dell'ammodernamento dei servizi dell'Azienda Italia che solo può rendere competitiva la nostra produzione. Il messaggio della politica quindi deve volare “alto”, aprire i cuori, rompere gli egoismi, scuotere la pigrizia, parlare ai giovani. Non c'è nessuna fuga individuale che oggi consenta di dare risposte più illuminate di una via nazionale in uno scenario dove la dura competizione dell'Homo Homini Lupus diventa la morale della nuova società.
Ecco un altro messaggio che ereditiamo dalla più lontana memoria del MSI: l'aver proposto il riscatto di un popolo da una politica di mortificante rassegnazione, di rinuncia, di fuga dalle proprie responsabilità, di materialismo, allontanando questo stesso popolo da ogni sentimento del dovere, da ogni volontà e capacità di proiettare sul piano dei grandi rapporti internazionali la sua indiscussa capacità di ripresa, morale prima ancora che politica ed economica.
Ecco la lezione di Pound: la ricchezza di una Nazione non è nella quantità dei beni che produce, ma nelle qualità morali del suo popolo. E non è stata forse la sinistra con il consociativismo democristiano in tutti questi anni (con tutti i mezzi ed in tutti i campi) ad aver voluto lo smantellamento di ogni etica nel lavoro, nella famiglia, nella società? Ecco il significato oggi della politica, di una politica di destra e sociale: ricostruire il senso dello Stato, volare alto per costruire un progetto, un destino, una solidarietà e ambizioni comuni, certo con sacrifici, ma nella convinzione che il popolo italiano è maturo a vivere la politica.
FEDERALISMO
Una coscienza nazionale che deve reagire anche di fronte ai fenomeni di disgregazione federalista, perché concordiamo con le osservazioni di Maurice Blondet e Leonardo Servadio su “Studi Cattolici” che “le leghe siano subalterne ad una strategia di abbattimento delle resistenze nazionali alla planetarizzazione del mercato perseguita dalle multinazionali e dai centri più o meno occulti del potere finanziario”. Ecco perché non concordiamo con la tesi di Fini nella parte in cui sostiene che “solo da Destra può venire un discorso sul Federalismo per sommare le molteplici varietà verso il comune destino della Nazione”. Perché vogliamo ricordare a noi stessi prima e agli Italiani poi che “la Nazione non è data dal suolo, dalla comunanza di tradizioni, di costumi, di linguaggio, dalla religione; ma dalla coscienza di questa materia che trova concretezza attraverso lo Stato.”
“Organizzare lo Stato non come forma estrinseca meccanicamente imposta alla coscienza nazionale, ma come la stessa personalità reale ed attiva del popolo italiano”, come ci ricorda Gentile. Il che è un problema della stessa democrazia di avere un personale politico che tuteli l'interesse nazionale, anziché svenderlo.
ECONOMIA
Ecco la nuova questione nazionale: tutelare l'economia del paese contro “il mostro che tutto divora con denti rubati” come dimostrano le privatizzazioni in Italia in questi ultimi tempi.
Certo parlare di Stato dopo che la partitocrazia per 50 anni ha occupato lo Stato può sembrare démodé, fuori luogo. Ma dove era lo Stato quando le nostre migliori produzioni sono state vendute o “svendute “come saldi di fine stagione? Il nuovo Pignone dell'ENI venduta alla sua concorrente americana General Electric, l'Italgel della Sme con Motta e Alemagna alla multinazionale Nestlè, il gruppo Cirio - De Rica - Bertolli ad una cordata meridionale con lo zampino di una multinazionale anglo-olandese. Che dire poi del destino delle grandi banche, come quelle del gruppo IRI che sono state tutte consegnate ad un unico centro di potere Mediobanca, legato a poche grandi famiglie e ad interessi stranieri?
In uno studio di Giano Accame si legge: “Si è sinora consumata una duplice truffa ai danni del popolo italiano: prima lasciandogli falsamente credere che la vendita delle sue proprietà avrebbe contribuito a ridurre il debito pubblico (mentre il ritorno economico ha coperto appena le voragini debitorie di questi stessi enti), poi facendogli falsamente credere che avrebbe contribuito allo sviluppo della democrazia economica, mentre ha accresciuto solo il potere delle multinazionali.”
Sorge a questo punto un dubbio. Vuoi vedere che anche spogliare un popolo dello sviluppo, del lavoro, delle speranze future delle nuove generazioni è sinonimo di democrazia, in spregio agli stessi dettati costituzionali della Repubblica italiana? Non c'è un uso un po’ distorto della democrazia, che dal lessico “potere al popolo” si traduce nei fatti in “potere di derubare il popolo”?
Che dire poi dello stato comatoso in cui versa la nostra agricoltura, zootecnia, patrimonio boschivo, con l'assurdo deficit di 11.265 miliardi, nel’93, fortemente peggiorato nel’94? Per l'Italia verde è stata poi applicata una legge opposta al principio di gravità: è più semplice importare che produrre, cancellando ogni autosufficienza italiana in settori strategici come quello zootecnico, granario, caseario. Mentre le conseguenze dell'analfabetismo secondario, ovvero la perdita di memoria nelle nuove generazioni alla attitudine al lavoro agricolo è il gap più grave denunciato dalle organizzazioni del settore. Ma l'importazione di pomodori per oltre 33 miliardi di lire, mentre buona parte della produzione nazionale marciva sulle piante, la dice lunga su quella questione che abbiamo sollevato all'inizio del nostro ragionamento: la questione nazionale.
LAVORO. OCCUPAZIONE. SINDACATO.
Per capire le trasformazioni in atto nel mondo del lavoro bastano pochi ma chiari esempi concreti:
1. Vi ricordate la campagna di denigrazione contro l'Alitalia condotta nell'ottobre scorso su tutti i giornali? Si gridava allo sfascio per cui la compagnia di bandiera italiana aveva solo 500 giorni di vita se non partiva un piano di rilancio. Ebbene il rilancio c'è stato, ma guarda caso per le compagnie concorrenti, lasciando a terra piloti e assistenti di volo italiani. Infatti, il progetto Alitalia è quello di cedere all'ANSETT (compagnia australiana) le migliori linee verso gli USA con gli scali di Toronto, Chicago, Boston, Miami ed in futuro anche New York; i nostri emigranti che cercano nella compagnia di bandiera la qualità tutta italiana, hanno invece la non gradita sorpresa di trovare un servizio australiano. Lo stesso dicasi per le linee verso Oriente, in procinto di essere affittate alla compagnia Thay. Così cade la maschera dell'operazione: ridurre la nostra compagnia di bandiera da primario agente commerciale in tutto il mondo, ad un piccolo operatore regionale incaricato di portare il traffico ai grandi vettori internazionali.
2. Sapete quanto guadagna un'operatrice su terminale con un'agenzia di lavoro in affitto? Sette mila lire l'ora (naturalmente senza oneri accessori) e quanto ha lucrato la stessa agenzia dall'ente committente, in spregio di tutte le leggi vigenti e di tutti i sindacati per le prestazioni di quelle lavoratrici? Lire 22mila l'ora. È questo il giusto profitto che si invoca con il lavoro in itinere? Ma guai a parlare di sfruttamento: sarebbe démodé! totalmente fuori moda.
Questi sono solo due cenni di quella più “equa distribuzione internazionale del lavoro e di quella flessibilità” che pure Fini invoca nella sua relazione. Ci si chiede se egli conosce la qualità degli oggetti venduti a mille lire sui nostri mercati rionali, frutto della più sleale concorrenza prodotta sulla schiavizzazione anche dei bambini nei paesi in cui essi vengono fabbricati. Se poi pensiamo che in Italia le speranze residue dei lavoratori italiani sono quelle di sostituire i turni di lavoratori “polacchi” o di altro personale straniero, si comprende come soprattutto le tematiche del lavoro tornino tema principe della politica, cardine della più ampia questione nazionale e di quella giurisprudenza che attraverso la legge del 3 aprile 1926 ha avuto il grande pregio di sconfiggere proprio le leggi del mercato applicate al lavoro che provocano la guerra tra poveri: non l'anticamera ma il salotto buono della moderna schiavitù nel mondo del lavoro. A questo punto sorge spontaneo un interrogativo: ma dove stava quel sindacalismo arrabbiato, duro, con le bandiere rosse al vento che per quasi cinquant'anni ha cancellato ogni memoria etica nel lavoro e ha ricattato l'economia del nostro paese in nome della lotta di classe? Certo lo abbiamo visto sfilare di recente contro il Governo Berlusconi, contro la Finanziaria, sul tema delle pensioni. Ma ai distratti sarà sfuggito che proprio in quei giorni avveniva un incontro a lume di candela tra i vertici di CGIL, Cofferati in testa, con i vertici di Confindustria per cedere l'ultimo ostacolo alla totale mercificazione del lavoro: i contratti collettivi. Ecco a cosa è servito il sindacalismo confederale in Italia: ad usare come merce di scambio diritti, doveri e dignità dei lavoratori con privilegi e prebende al sindacalismo istituzionalizzato e non legalizzato, come si evince dai disattesi articoli 39 e 40 della Costituzione. Solo il Sindacalismo Nazionale, e va dato merito di questo alla CISNAL con il cartello dell'ISA, ha denunciato lo sgretolamento, la demolizione “pezzo a pezzo” delle mura di un ordinamento giuridico ed accessorio codificato nella pur vasta produzione del diritto del lavoro che circa un secolo di lotte e di civiltà giuridica avevano creato a tutela della parte debole del rapporto: il lavoratore.
La funzione pubblica del collocamento, la chiamata numerica contro il caporalato in agricoltura, la proporzionalità tra retribuzione e qualità del lavoro, la tutela del salario reale di fronte all'inflazione, il trattamento di fine rapporto, glia assegni familiari, la tutelala della maternità, persino il trattamento previdenziale per non parlare delle ferie e delle festività natalizie sono stati viti come costi incompatibili con il cambiamento tecnologico e le esigenze della produzione.
Ma il ricatto di invocare più flessibilità e maggiore deregolamentazione si è purtroppo rivelato un’arma spuntata. “Non siamo nemmeno più a quell'alternativa vagamente ricattatoria tra disoccupazione e mercificazione del lavoro, sta dilagando la mercificazione e nel contempo la disoccupazione”, come ci fa notare Giovanni Magliaro su “Pagine Libere”. Anche nel campo delle relazioni sindacali, siamo al crollo della memoria storica, perché si sono scambiati per “oneri accessori” incompatibili con le esigenze di mercato, principi che nascevano da una ben diversa cultura e che nella “mutualità”, esempio squisito di solidarietà traggono le loro radici. Solidarietà che per essere concreta aveva bisogno dello Stato come garante della compatibilità delle esigenze del lavoro con quelle della produzione. Un cambiamento ineluttabile? Perché si dice, i valori dello Stato-Nazione lasceranno il passo a quelli di comunità elettroniche, grandi o piccole? Ci sembra vero l'esatto contrario: la interconnessione in un ebete vicinato “digitale” non aumenta la comunicazione, la uccide. Se la comunicazione non è tra uomini, tra culture, tradizioni e popoli nel rispetto delle loro differenze, essa ci porta alla società del “Grande Fratello” di Orwell. È l'ipotesi estrema del liberismo assoluto che realizza la maledizione del principio marxista-leninista: “quando regnerà la libertà non ci sarà più lo Stato”. Ma è un grande “gulag informatizzato” che dobbiamo costruire per i nostri figli? Non è forse nell'arretramento della cultura del lavoro che vediamo l'arretramento dell'uomo alle soglie del Terzo Millennio? Si torna così al salario come merce naturale del lavoro nell'accezione di David Ricardo e si abbandona come straccio vecchio “la retribuzione” che sposava mutualità con qualità e quantità della prestazione lavorativa a tutela della dignità dei lavoratori.
Certo le conquiste che oggi si perdono sono datate tutte e costruite sotto il Fascismo, che tutelava il lavoro, dopo avergli riconosciuto la più alta funzione di “dovere” sociale (Carta del Lavoro). Ora invece si invoca il “dovere sociale” del lavoro nell'azienda in nome della QUALITA’TOTALE ma comprimendo diritti e dignità dei lavoratori. Come sottolinea Guido Bolaffi “il problema non è quello dei tempi della catena di montaggio, quanto quello di riuscire a garantire qualità e assenza di difetti ai prodotti dell'automazione totale”.
Per questo fine si scomoda perfino il principio della partecipazione come ha fatto Cesare Romiti lo scorso 6 dicembre nell'intervento tenuto davanti a 500 manager Fiat riuniti al Lingotto, quando ha dichiarato: “La nuova Fiat è stata fatta, ora si tratta di “fare” gli operai.” Certo di farli duttili, flessibili, silenziosi, accomodanti. Ai lavoratori italiani stretti in una lotta per la sopravvivenza non sarà neanche concesso di protestare, perché ad un posto di lavoro che si libera subentrano le offerte di almeno due lavoratori stranieri disposti ad accettare alla metà per lo stesso lavoro. Che la ricetta del “mercato” poi sia insufficiente ad aggredire la sfida del secolo - la disoccupazione - lo afferma l'economista Luigi Frey: “Perché è tutto da dimostrare che una maggiore mobilità da posto di lavoro a disoccupazione/sotto-occupazione si traduca in aumenti secchi di occupati.” Ecco perché nella svolta che cambia non solo il volto, ma l'assetto produttivo del paese, occorre dare attuazione almeno a quei principi sanciti dalla Costituzione, nella parte in cui è riconosciuto l'interesse generale ove vi siano servizi pubblici essenziali o fonti di energia: l'art. 41 recita” L'iniziativa economica è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale e in modo da recare danno alla libertà, alla dignità umana.” e l'art. 46: “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro ed in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi alla gestione delle aziende.”
È di tutta evidenza che il presente articolo è ripreso proprio dall'idea di quella socializzazione lanciata dal RSI nel 1944. “Socializzazione” che aveva un forte retroterra culturale nella coscienza che è il lavoro a sedimentare l'uomo. Un “lavoratore” che crea la sua umanità quale che sia la sua “forma di attività” (di contadino, di artigiano, di maestro d'arte...). Ad un patto: che il suo orizzonte non resti chiuso e quasi blindato nella sua “attività determinata”, nel suo “sapere tecnico e speciale”, che non resti specialista e diventi “uomo intero”. C'è bisogno di uomini interi!
È soltanto miopia politica aver disatteso per 50 anni i principi della socializzazione per costruire una economia moderna. Nel frattempo, siamo stati superati dalla Germania (con la Mitbestimmung) e dalla Francia di Balladur, per non parlare del Giappone che ha ricostruito un impero economico sulla base di questi principi. Come mai di tutto ciò non c'è traccia nella tesi congressuale?
QUESTIONE NAZIONALE / Giovani
“La brutalità materiale della nostra civiltà - ha scritto Alexis Carrel in l’”Uomo questo Sconosciuto” - non solo si oppone allo sviluppo dell'intelligenza, ma abbatte i sentimenti e coloro la cui raffinatezza spirituale mal sopporta la volgarità dell'esistenza moderna. Quel che oggi è più grave in tale “brutalità” non è tanto il fatto che ai giovani non si diano “ideali”, ma anche che si sia tentato di convincerli dell'inutilità di tale ricerca spirituale.
La standardizzazione dei modelli di comportamento, l'analfabetismo secondario con la perdita di senso estetico, critico e di memoria relegano l'universo giovanile in un eterno presente, tanto superficiale quanto carico di complessi. È di tutta evidenza però che l'Italia odierna è figlia di quei giovani (che attendono ancora di crescere) che negli anni 60/70 erano alimentati dal mito di Che Guevara o di Ho Chi Min ed avrebbero voluto distruggere i miti “borghesi”, mentre di fatto ne sono diventati i servi sciocchi. Ci fa notare Solinas in una lucida analisi “la realtà è che l'ubriacatura ideologica di ieri è stata sostituita dall'ubriacatura economica di oggi, da questa concezione del benessere forzato, di divertimento a tutti i costi, di cinismo di basso conio, di approssimazioni.” Ebbene proprio ai giovani tocca oggi subire il fallimento di un modello di sviluppo che ha proprio nell'economico (come nell'uomo ad una dimensione) la dannazione del suo limite. Così ai giovani viene negata l'importanza di modelli di riferimento, raccolta nell'emblematica frase di Newton: “Se ho visto così lontano è perché sono montato sulle spalle dei giganti”. Infatti, la nostra vita è troppo breve per consentirci di costruire soltanto sulla base delle nostre esperienze. Occorre riallacciare i legami sottili con la propria storia, con la propria umanità, intesa come esercizio fecondo della volontà, perché “la volontà e il sogno sono la stessa cosa” (Borges). Ai giovani ai quali si vuole dare solo una scuola “funzionale” occorre ridare gli spazi mentali, che sono poi spazi vitali, per consentire loro di ritrovare le radici che non sono in vendita al supermercato. Studenti? Operai? Borghesi? Poco importa perché quando arriva l'onda lunga, ed è arrivata, essi debbono tornare protagonisti. È ad essi che affidiamo le nostre speranze di un mondo vivo e non di termiti, perché “i cambiamenti prima di avere una efficacia economica hanno un'influenza morale”. Ha scritto Abel Bonnard (in “Pensées dans l'action”): “La gioventù di un grande paese in tempi felici riceve esempi, in tempi di crisi li dà”.
FAMIGLIA - DONNE - SOLIDARIETA'
Una politica per la famiglia, malgrado sia stato istituito il ministero “competente” fino ad oggi non c'è stata (con la complicità tutta democristiana di cedere sui valori per non cedere sugli interessi!). È con il contributo di un grande sindacalista CISNAL, Liano Fabbietti, recentemente scomparso, che qui mi onoro di ricordare per il suo amore “ostinato” e per la sua grande generosità a servire la causa del Sindacalismo Nazionale, che mi preme di portare avanti la battaglia per quella grande conquista del Fascismo che furono gli Assegni Familiari. È per me motivo di soddisfazione essere primo firmatario di una organica proposta di legge per una loro riconquista. Una riconquista che è culturale prima che economica, perché rappresenta un istituto fortemente originale essendo costituito come “aggiunta di famiglia” di natura previdenziale, ovvero che andava al di là della stessa retribuzione. Un istituto che riconsegni soprattutto alle donne libertà di scelta: tempi di vita e realizzazione affettiva e familiare con la presenza nel mondo del lavoro. Un istituto che poi presso l'Inps ha un fondo attivo, anzi ricco, perché tuttora alimentato con un prelievo del 6% sulla retribuzione ma che viene semplicemente “distratto” per altri scopi.
Non è dunque giunta l'ora che proprio le donne denuncino con forza la perdita del potere d'acquisto delle retribuzioni in Italia, dove la busta paga non solo è stata dimezzata (merito dei governi socialisti), falcidiata dalla pressione fiscale, spogliata dalla scala mobile, ma è stata altresì svuotata di tutti gli istituti che una volta tutelavano dignitosamente il lavoratore e la sua famiglia di fronte alle incertezze della vita?
Perché poi non guardare al crollo demografico (l'Italia è sotto del 40% al livello di “crescita zero”) anche come un effetto indotto di una mentalità interessata a piegare l'Italia e l'Europa alla logica del mondialismo anche attraverso il mancato e naturale ricambio generazionale.
Il Prof. Golini, esperto in scienze demografiche ha avuto il pregio della chiarezza sull'argomento: siamo all'effetto “valanga”, prima si avvertono piccoli segnali, poi quando è troppo tardi si viene sommersi. Altresì è un merito delle sindacaliste CISNAL avere denunciato con forza il fallimento di tutte le politiche ispirate alle “PARI OPPORTUNITA'“, perché: “L'eguaglianza giuridica tra soggetti sostanzialmente diseguali non produce eguaglianza, ma genera nuova diseguaglianza”.
Così per molti versi la condizione della donna è simile a quella dei lavoratori extra-comunitari essendo andata ad occupare quelle mansioni ripetitive, esecutive e demotivanti lasciate libere dagli uomini. E questa “parità” altro non è servita che a cancellare diritti acquisiti già dall'inizio del secolo, come il divieto del lavoro notturno, la diversità dell'età pensionabile, il riconoscimento sociale e giuridico della maternità. Ecco perché vogliamo ripensare tutta la politica della famiglia, per la quale si pone una legislazione organica ed attenta.
Debbono essere coordinate le politiche a favore dei bambini, dei giovani, degli anziani, anche alla luce dell'invecchiamento incalzante della società. Senza tema di smentita si può affermare che la politica fin qui seguita dai governi della Prima Repubblica ha penalizzato la famiglia sotto tutti gli aspetti; da quello fiscale a quello sanitario, dal settore scuola ai trasporti, dai servizi sociali all'informazione. C'è una lunga tradizione del MSI a sostegno di queste tematiche, come gli atti parlamentari possono testimoniare. Ora la “miopia” verso il “sociale” che prima era perseguita da uno Stato cieco e sordo, sarà aggravata da un “Mercato” cieco e sordo se pensiamo al prossimo referendum sulla liberalizzazione degli orari dei negozi (anticamere del lavoro domenicale anche negli uffici). Chi paga? Saranno di nuovo le famiglie, smembrate per la rotazione dei turni, che coinvolgono entrambi i genitori, in ritmi inumani, con l'impossibilità di assistenza all'infanzia ed agli anziani.
SOLIDARIETA’E SUSSIDIARIETA'
Vedi, caro Fini, non c'è sistema di solidarietà “no profit” che tenga quando si affidano alle leggi del mercato le regole del vivere civile. Così l'approdo al principio del “Terzo Sistema” (o settore no profit) come “Rivoluzione Ideale” dopo Tangentopoli, ci sembra sinceramente riduttivo rispetto alla gravità dei problemi. Non è che, in questi cinquanta anni, siano mancate o non siano state lautamente finanziate, anche in modo clientelare dai partiti, associazioni “no profit”: associazioni che vanno dall'arcipelago cattolico (ruotanti intorno all'Opus Dei) ai “Centri Sociali”, campo di conquista della sinistra. I bisognosi, i portatori d’handicap, le donne, gli emarginati sono invece state ottime ragioni per ottenere finanziamenti, senza che fossero mai ben definiti i confini dell'interesse delle associazioni con quello del bisogno. Oltre a ciò, il risanamento delle piaghe della società moderna, che sono destinate ad ingigantirsi: dall’AIDS, alla disoccupazione, alla droga, al disadattamento giovanile, e che non possono essere affidati con criteri caritatevoli ad enti elemosinieri (i sindacati si sono già candidati a tale ruolo già con il progetto dell'88 del “sindacato dei cittadini”). L'interessamento saltuario, frammentario, incompleto nei confronti dell'assistenza, così come l'intervento “privato” tanto acclamato di questi tempi non fa che invertire i termini del problema: usare gli scopi come mezzi e non può essere altrimenti. Perché l'assistenza sia sobria e fraterna, costante affermazione di solidarietà sociale ed umana, “non debbono esistere i nomi di chi dà e di chi riceve”. Deve rispondere invece ad un imperativo etico dell'individuo socialmente organizzato che trova nel diritto e nello Stato il massimo garante del bisogno.
Per concludere è motivo per me di grande orgoglio consegnare ai giovani, alle donne, ai lavoratori, alla gente, quella che è stata la bandiera del MSI: il grande amore per l'Italia e per l'Europa.
È vero, è giunta l'ora di scrivere la pagina di un nuovo Risorgimento contro l'alienazione di un’epoca che minaccia di distruggere l'uomo: è l'uomo che deve rinascere e ritrovare il gusto ed il coraggio della vera libertà. “In fondo all'Io c'è un Noi, che è la comunità a cui egli appartiene e che è la base della sua spirituale esistenza”.
La nostra comunità si chiama Italia e la vogliamo “Una, Sovrana e Libera!”.
Teodoro Buontempo