ROTTA FUTURA

27 gennaio - intervento di Pasquale Viespoli

  Pasquale Viespoli: AUDIO, giorno 3, periodo 1, da 18' 33" a 31' 20"

Signori congressisti, infatti la pubblicità che, in varie forme e toni, l'onorevole Rauti, l'onorevole Trantino e Moffa mi hanno fatto ieri, facendo riferimento all'anomalia di Benevento, mi consente di fare alcune considerazioni che mi pare appartengono a tematiche che siano piuttosto sfuggite nel dibattito e nelle tesi congressuali. Io sono stato eletto con una lista denominata "partecipazione" a forte caratterizzazione politico-culturale, perché frutto non di una contingenza elettoralistica, quanto piuttosto di una valutazione culturale che teneva conto di un dato: che noi non siamo soltanto, come si dice ormai, in maniera troppo scontata e per certi versi banalizzante alla fine del dopoguerra. Noi probabilmente ci troviamo a vivere la chiusura di un ciclo storico che va dall'89 all'89 e che mette in campo, nella cultura europea e nazionale, una serie di soggetti nuovi e mette in campo, fa irrompere nello scenario politico quello che è stato definito "il localismo" e che noi più correttamente possiamo dire: la dimensione comunitaria, la centralità del territorio, la capacità cioè di comprendere che in un mondo omologato il discrimine non è più tra la vecchia destra e la vecchia sinistra, ma tra coloro i quali sono funzionali all'omologazione, allo smarrimento delle identità, alla perdita della memoria e coloro i quali invece sono per le piccole patrie, per le piccole identità, per le specificità, per le originalità, per le diversità da ricomporre in un nuovo assetto organico, dove il soggetto non è più soltanto quello categoriale, ma è quello territoriale, dove emergono nuovi diritti, nuove esigenze. E allora la politica oggi non è soltanto il meccanismo tatticistico di valutazione neo partitocratica di qualche cinico o di qualche neo rampante, ma è la capacità di capire in profondo che cosa si muove, di conciliare, come diceva Benedetti Valentini prima, nazionale e locale per dare le risposte più significative, in questo contesto si situa l'Alleanza nazionale!, altrimenti c'è il rischio che questo approdo sia per certi versi banalizzato, non nobilitato rispetto al dato storico politico che l'impone, perché noi abbiamo chiuso questo ciclo, perché le vecchie forme partito sono superate, perché nuove forme della rappresentanza emergono, perché non ci sono più i diritti degli individui, ma dei gruppi, perché emergono con forza i corpi intermedi, perché bisogna creare grandi contenitori partecipativi che vadano oltre la vecchia forma partito.

Non si fa un processo politico soltanto per ragioni elettoralistiche, non si fa un processo politico per Buttiglione o chi che sia; si fa perché si arriva alla necessità di proiettare nel futuro la propria capacità di rappresentare una forza reale di governo di questo Paese.
Io ho sentito spesso parlare di cultura di governo e tuttavia molte volte ho avuto la sensazione che si parlasse come quei vecchi sindacalisti i quali parlavano del mondo del lavoro senza essere mai stati in una fabbrica o in un ufficio: perché la cultura di governo non è uno slogan, è la grande sfida che ci troviamo a dover fronteggiare e ad affrontare, perché molti dei contenuti del documento congressuale di Alleanza Nazionale non mi convincono, ma quel che mi convince è la sfida, quel che mi convince è la necessità di accettare il nuovo, quel che mi convince è la necessità di mettersi in discussione, quel che mi convince è la capacità di verificare se il grande patrimonio, la grande analisi politica e culturale che sta nella nostra identità è capace di diventare quotidiano concreto nella vita della gente, di trasferirsi nella risposta che dobbiamo dare ai grandi temi del governo e allora discutiamo di queste cose, Fini, perché voglio capire se siamo o no per la pianificazione territoriale secondo la vecchia cultura di piano, oppure no!, se rispetto alla dicotomia pubblico privato, siamo capaci di individuare forme di privato sociale che tengono conto dell'efficienza e della solidarietà, per capire se ci rendiamo conto che dentro la questione meridionale c'è la grande questione dell'efficienza del governo locale, perché il problema del mezzogiorno è anche il problema delle pubbliche amministrazioni, perché oggi l'efficienza del governo locale si esprime nei rapporti sociali, è fattore esso stesso di sviluppo, perché noi abbiamo la possibilità di dire, rispetto alle vecchie incrostazioni partitocratiche, rispetto alla burocratizzazione degli enti locali, noi lanciamo un'altra parola d'ordine, Fini, ne hai accennato nel tuo intervento, noi lanciamo il modello partecipativo sul piano istituzionale e sul piano sociale; non solo sul piano istituzionale, ma anche sul piano sociale, ed è grave che si insinui tra di noi, perché io per la verità ho sentito fare nomi che non appartengono alla mia biblioteca, lo confesso, però non vorrei che tra i tanti autori che dovrebbero far parte di questa nuova cultura ci sia anche la cultura eduardiana, quella degli esami che non finiscono mai, per cui pezzo dopo pezzo noi perdiamo ruolo, funzione, identità e capacità di presenza politica.

Perché proprio quando, e questo può essere un modo per dare risposte politiche, perché la politica è capacità di confrontarsi con il reale, con il giorno per giorno, ma anche di essere prospettiva, è la necessità di ravvivare l'iniziativa culturale in questo ambiente, che è fermo anche dal punto di vista delle analisi.
E allora quando il ministro, l'attuale Ministro del Lavoro, Tiziano Treu, scrive sul Sole 24 ore del 5 gennaio, che registra questa ripresa del concetto di partecipazione, questa necessità che viene da stesso mondo industriale di capire che la qualità si combina soltanto con la responsabilità e quindi con la partecipazione, bhè, noi dobbiamo trovare in questo l'ulteriore legittimazione, ad essere oggi noi forza di governo, perché capace di interpretare oggi le scelte e i valori di cui questo Paese ha bisogno. Io vorrei soltanto aggiungere, e concludo perché l'onorevole Servello è già sufficientemente impopolare, perché anch'io contribuisca,

[Presidente: la ringrazio molto di questa solidarietà!]

e cioè, e cioè, vorrei dire attenzione, la destra sociale non è soltanto il nominalismo della destra che ha necessità di essere aggettivata, perché altrimenti da sola ci colloca. Io sono preoccupato di una cosa, perché parliamo di destra sociale e poi non sottolineiamo che sì, ci siamo astenuti, potevamo votar contro, ma certo, fa un certo senso, una certa impressione, sentire il Presidente del Consiglio incaricato, introdurre tra i nuovi soggetti del consenso per il governo il mercato finanziario, per cui poi non basteranno più soltanto i voti, ma bisognerà chiedere a chi e a quali rappresentanti del mercato finanziario per capire se un governo funziona oppure non funziona; non credo che questo possa essere un governo di destra sociale, ma tutt'altro.

Allora io mi avvio veramente a concludere, vorrei dire questo: vedete, la destra sociale è una cosa che... proprio qualche giorno fa è uscito un articolo sulla Repubblica di un ex comunista che ha scritto un libro sul comunismo e sul fascismo. E questo ex comunista, il quale diceva:
«il problema che ci ha creato la fine del comunismo è questo, che ci condanna a vivere nel mondo in cui viviamo».
Cioè è scomparso il comunismo, la mitologia del comunismo, questa grande prospettiva di cambiamento, l'illusione, l'utopia rivoluzionaria, la politica possa diventare una sorta di gestione del quotidiano, pragmatica, furba magari, neo dorotea se vogliamo, ma senza più anima, senza più speranza.

Ecco, Alleanza Nazionale quindi non può essere questo, perché guai se non facciamo ancora una volta scattare la scintilla per poter far dire ai giovani domani che grazie ad Alleanza Nazionale non sono stati costretti a vivere nel mondo in cui vivevano, ma gli abbiamo aperto una speranza, un'aspettativa di cambiamento forte, di cambiamento radicale, di alternatività. E l'alternatività non è soltanto la riflessione sulla nostra storia, perché fa un certo senso ascoltare un comunista il quale ammette che l'antifascismo è stato usato dalla sinistra, soprattutto dalla metà degli anni Trenta in poi e poi nel dopoguerra soltanto per legittimare la democraticità dell'impero sovietico e la scelta dell'impero sovietico. Attenzione ad essere troppo acritici rispetto a queste cose, si corre il rischio di essere secondi pur di fronte ad un ex comunista.

E concludo sul piano politico. Alleanza Nazionale sarà quel che saremo in grado di costruire, ma certo deve avere una connotazione che è nella sua denominazione, cioè Alleanza Nazionale e possibilmente sociale e popolare, che abbia un obiettivo politico chiaro. Bhè, se la Prima Repubblica e il dopoguerra si è caratterizzato per la norma transitoria che vietava la ricostituzione del disciolto partito fascista, una cosa è certa, per avere ruolo e funzione storica la Seconda Repubblica deve nascere con un'altra norma transitoria che vieti la ricostituzione del disciolto partito democristiano, non solo della democrazia cristiana, non solo della democrazia cristiana, ma del partito democristiano, cioè della cultura, della mediazione, della cultura senza decisione, della furbizia, del doroteismo, del carrierismo, della politica intesa come mestiere per mestieranti e non vorrei che troppo allignassero anche le nostre file.

[Presidente: Grazie Viespoli la parola non Maceratini]