Io sono con Servello fra gli impopolari, sicuramente, perché ho avuto il triste compito di stare dietro a quel microfono e stanotte soprattutto, qualcuno è testimone, ma pochi, ho avuto il triste compito di tagliare, perché chi non era presente veniva dichiarato decaduto; quindi mi assumo insieme a Servello questo compito ma qualcuno lo doveva pur fare, di fronte a centinaia di richieste di intervento che, guarda caso, venivano tutte fatte per i momenti topici, quando c'è la televisione, qui non c'è, per fortuna, quando ci sono i giornalisti, ne vedo pochissimi, per fortuna, quando, insomma, si ha il riflettore puntato. Noi ci accontentiamo dei pochi minuti che ci siamo auto-assegnati e saremo assolutamente nei tempi.
Io porto, lo sento come dovere, il saluto dei quarantotto senatori di Alleanza Nazionale che siedono a Palazzo Madama, che fanno il loro dovere, spesso oscuramente, perché lì nelle commissioni non c'è tanto riflettore, tanto eco di stampa, ma sono lì in una trincea importantissima a rappresentarci con onore, con intelligenza, con senso di responsabilità. Allora, ripetere quello che è già stato detto sembrerebbe un'offesa alla intelligenza dei congressisti, ma sentiamo l'urgenza di testimoniare una presenza in questo ultimo congresso del Partito e il significato di questo passaggio che oggi siamo chiamati a compiere.
Muore un Partito? Mah, se dovessimo guardare un po' questo funereo apparato organizzativo, sembrerebbe una cosa un po' egizia, ma manca il Faraone e quindi se dobbiamo fare gli scongiuri li facciamo, ma io non sento assolutamente questo clima di liquidazione, di funerale, di morte, di sepoltura e quant'altro.
Noi siamo i Missini che orgogliosamente entrano in Alleanza Nazionale senza dover chiedere scusa a nessuno, senza dover abiurare alcunché, perché è la nostra storia che sta lì a testimoniare: primo, che siamo dei galantuomini con una specchiata fedina penale, sono gli altri che devono dimostrare giorno per giorno a noi di avere gli stessi requisiti; secondo, che le nostre radici, che giustamente affondano nel fascismo, ma che altrettanto giustamente affondano nella storia di questo popolo italiano, in quella che Marcello Veneziani ha definito la ideologia italiana, siamo degli uomini che guardano avanti perché, guai a fermarci a rimirare il passato. Le analisi sul fascismo, ma certo ci sono luci enormi e ci sono ombre, le abbiamo fatte noi dal 1946 ad oggi, quando i nostri padri e poi noi giovanissimi non cademmo nella trappola del nostalgismo guardando avanti, gurdando avanti perché questo era l'insegnamento più autentico che ci veniva proprio da quel passato, nella necessità eterna che doveva spingere ciascuno di noi a non... a non restaurare ciò che fatalmente la storia portava da una parte, ma nel costruire il nuovo.
Quello che io sento rispetto a taluni critici della odierna svolta, sento di dire, con il cuore proprio assolutamente scevro da qualsiasi intento polemico, è questo: ma dobbiamo continuare a camminare nella politica italiana come testimonianza di un passato, ma abbiamo ancora bisogno di testimoniare su quel passato quando da tutte le parti del mondo arrivano riconoscimenti alle grandezze che ci furono allora, ma questo crea politica, questo ci dice quello che si farà domani. Io ricordo quando un personaggio che in questo congresso è apparso forse la punta apicale della critica alla svolta, ci diceva: "ma che cosa dice il fascismo in tema di telematica, studiate perché su quell'argomento non si dice nulla, che cosa dice il fascismo in tema di recupero dei rifiuti solidi, che cosa dice il fascismo in tema di impatto ambientale" C'è una problematica enormemente, direi, in maniera gigantesca, nuova rispetto alla quale noi ci troviamo a confrontarci ed ecco lo sforzo dell'apprendere per costruire domani una nuova Italia, una nuova Europa nella quale dobbiamo credere.
Questo, questo spreco di intelligenza che io vedo e temo che si realizzi in questo congresso della svolta è un delitto proprio rispetto all'elaborazione che la parte più giovane del movimento sociale, oggi il tempo lascia i suoi segni inevitabilmente, ma ha sempre invece richiesto perché noi fossimo all'altezza dei tempi che urgono e che ci sono di fronte, non fermi a guardare ciò che c'è stato nel passato e rispetto al quale ci si troviamo di fronte a milioni di italiani con i quali non è possibile continuare a litigare per dire se aveva ragione Badoglio, se aveva ragione Graziani, perché molto spesso non sanno nemmeno chi sono questi personaggi, però ci chiedono, rispetto alla realtà italiana di oggi e ai problemi giganteschi che l'Italia affronta, quali sono le nostre risposte e lì c'è bisogno del nuovo che stiamo costruendo.
Quindi non facciamo questo errore di sprecare le intelligenze e le energie di fronte a una rivisitazione del passato che al limite nessuno ci chiede, perché noi abbiamo di fronte un mondo di avversari con i quali possiamo tranquillamente e tutti i giorni misurarci ed avere ciò che meritiamo di fronte agli italiani.
E allora... le tematiche di questo congresso, che domani e dopodomani avrà la sua svolta conclusiva, sono sui contenuti. Che cosa sarà l'Alleanza nazionale? E qui abbiamo il diritto e il dovere di discutere, oggi, domani, dopodomani. E ci sono dei fatti, rispetto ai quali qualcuno può prendere, nel confronto dialettico che è necessario, delle posizioni differenziate.
Io, per esempio, temo. temo una iniezione eccessiva nell'ambito della nostra volontà di allargarci, di aprirci, di essere i più disponibili possibili, a quella etichettatura che non mi piace, e che mi sa di vecchio anch'essa, quella che vorrebbe definirci come una forza liberal-democratica. Intendiamoci, lo abbiamo detto che siamo per la libertà e per la democrazia, non si discute, ma questa sintesi dei due aggettivi ci richiama tutta una stagione di imbrogli, di porcherie che dietro questa etichetta si sono svolte sotto i nostri occhi e poi, soprattutto, mette in discussione quella caratteristica che ci farà vincenti, che è quella della socialità, che è quella della capacità di essere una destra sociale con tutto ciò che questo aggettivo porta con sé nella sua capacità, cioè di essere vicino al popolo nella sua intierezza, alle sue esigenze più profonde. Quindi, da questo punto di vista, socialità per noi è un DNA indistruttibile, irrinunziabile, che ci collega, ecco il riferimento che va approfondito, ci collega a quella ideologia italiana che parte sicuramente dai padri del Risorgimento, che attraversa tutto il Novecento e che ha un significativo parallelismo tra il pensiero e il magistero della Chiesa, con le sue encicliche, dalla rerum novarum fino alle ultime, dell'attuale pontefice, da una parte, e sul versante laico, dal nostro pensiero, dalle punte apicali di questo pensiero, la Carta del Carnaro, la Carta del Lavoro, la Socializzazione di Verona e persino la Costituzione attuale, che negli articoli 39, 40 e 46 deve prendere atto!, che la storia ha camminato, ma noi siamo stati, da questo punto di vista, sul versante laico, i realizzatori normativi del pensiero del magistero che la Chiesa dava.
Ecco, so che qualcuno si è lamentato perché abbiamo parlato poco di cristianità, qualcuno ci ha accusato anche di passare da una religione all'altra, per carità, questo siamo e non potremmo essere diversi, ma rendiamoci conto che i tempi sono mutati. lo sapete, per esempio, un solo dato, che attualmente la Fiat produce, con il 1994 appena concluso, lo stesso numero di automobili che produceva dieci anni fa; ma lo sapete che per produrre questo numero di automobili ha bisogno soltanto del 65% di addetti, cioè 1 su 3 del rapporto di lavoro all'interno della Fiat è stato espulso dal ciclo produttivo, perché ci sono i robot, c'è la telematica, ci sono i nuovi mezzi di produzione che escludono forze di lavoro e che necessitano fatalmente di ripensare l'intero assetto, allora: cosa ci deve guidare? Il pensiero che il profitto non può essere l'unico elemento a cui fa riferimento, che la solidarietà sociale deve essere il necessario correttivo di queste mancanze che fatalmente si determinano nell'evolvere dei tempi.
Io poi adesso vengo, e veramente mi avvio alla conclusione di una fase del mio intervento che ho ridotto per le ragioni temporali che ho detto prima, a due cose rispetto alle quali leggerò, perché bisogna stare attento. Io penso che noi dopo il 27 marzo abbiamo commesso due errori, sicuramente. Primo, non avere chiesto con forza che si ripetessero le elezioni, tutte, quelle della Camera e quelle del Senato, visto che al Senato non avevamo la maggioranza, allora la situazione era fatalmente favorevole a noi e avremmo spazzato via tanti equivoci che poi sono pesati sulla successiva conduzione della politica. Ma c'è un altro errore che vorrei ricordarvi, non aver proposto al nuovo Parlamento di eleggere un nuovo Capo dello Stato al posto di un Presidente della Repubblica che era stato eletto dal Parlamento di Tangentopoli. Avremmo dovuto ricordare che su quel nome si realizzò storicamente l'ultimo compromesso fra Andreotti e Forlani, Gava e De Mita, Craxi ed Occhetto, La Malfa ed Altissimo. 43:06
Avremmo meritato un Presidente diverso per aiutare l'Italia a voltare pagina, un Capo dello Stato che rispettasse davvero il voto degli italiani, che non fosse nostalgico, lui sì, della democrazia cristiana, un Capo dello Stato che di fronte allo strappo operato da Bossi, senza indicazioni sciogliesse le Camere e chiamasse gli elettori a decidere, a giudicare e a scegliere. Così non è stato. Le cose sono andate diversamente, ma vedrete che nonostante tutto, molto presto ci saranno nuove elezioni politiche generali, vincerà l'alleanza del Polo, vincerà Alleanza nazionale, il nuovo Parlamento non commetterà più quello stesso errore.
Andiamo tutti avanti. E siccome quando si chiude si deve fare il richiamo ai sentimenti, io sono un uomo che sente molto questa spinta, io voglio darvi un'immagine, magari a qualcuno rimarrà nel cuore. Il 27 marzo ci furono circa cinque milioni e mezzo di fiamme tricolore nelle urne della competizione elettorale, cinque milioni e mezzo di fiamme, immaginate.
Bene, questa nostra fiamma che rimane nel simbolo di Alleanza nazionale a testimonianza della nostra vita mi fa venire in mente quello che diceva un altro pensatore che fa parte, anche se forse ce ne siamo dimenticati, ma credo che stiano rimediando, del nostro patrimonio genetico. Parlo di Alfredo Oriani, quello che fu chiamato l'anticipatore, l'uomo che, il solitario del Cardello pensava e sognava un'Italia diversa e che diceva, nella sua Rivolta ideale, una immagine che potete collegare a quei cinque milioni e mezzo di fiamme del 27 marzo. «Italiani,» con così conclude la sua opera, «accendete tutte le fiaccole, le fiaccole, le fiamme, accendete tutte le fiaccole perché l'alba è vicina».
E diceva Oriani, e diciamo noi, nella imminenza del varo di Alleanza nazionale, «quest'alba sarà l'alba della risurrezione della patria».
Grazie.
[Presidente: Grazie, Maceratini. La parola all'onorevole Erra!]
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