ROTTA FUTURA

NON FACCIAMO A GIORGIO QUELLO CHE HANNO FATTO A ENRICO

Si possono avere diverse opinioni su Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano, uomo che ebbe la debolezza di piazzare la figlia nella TV di Stato e strinse molte mani insanguinate di dittatori; si dedicò per intero alla sua idea politica, fino a morire nella piazza di un comizio. Quali che siano le opinioni c'è una bella differenza tra l'omaggio ricorrente che gli viene fatto a parole dai suoi sedicenti eredi e il tributo concreto che Berlinguer ha ricevuto nella toponomastica romana.

Un lastricato riflette muto il gelo e il caldo del cielo, su cui ubriaconi spaccano birre e chiuso da brutte transenne; il traffico di piazza Venezia ci scorre attorno e lo attraversano turisti che hanno fretta di andare all'Altare della Patria o al Colosseo, inseguiti da altri stranieri venditori di biglietti. È ingombro di pali e segnali, dai resti di vecchie biglietterie automatiche delimitate con reti da cantiere: lo spazio dove via di San Marco arriva a piazza Venezia e dove qualche anno fa è stato ricavato il "Largo Enrico Berlinguer", con la scusa che si trova al limite di via delle Botteghe Oscure.

Qualcuno ipotizza che si voleva sfruttare il fatto che il tram 8 vi fa capolinea per arrivare un giorno a chiamare col nome del segretario del PCI la fermata: per avere lo stesso effetto delle migliaia di corse ATAC che ogni anno già portano in giro per la capitale la destinazione "Via Lenin". Quale che fosse il progetto, ben povero è il servizio che si è reso alla memoria dei meriti civili di un uomo che è parte degna della storia della Repubblica italiana, la guida di un partito che rappresentava decine di milioni di cittadini - con voti veri e sezioni vere, non virtuali o piattaforme gestite da una srl di Milano.

Una persona si onora intitolandogli belle piazze e belle strade, tra il generale consenso dei cittadini. Non è stato il caso di Enrico Berlinguer.

Lo stesso risultato si rischia nella vicenda della intitolazione di una strada a Giorgio Almirante. È occasione da anni di polemiche di bassa levatura; sono debolissimi gli argomenti contro l'intitolazione anche a Roma (ci sono molte città in cui è già stata fatta) di una via a Giorgio Almirante. Mentre il sindaco Raggi ha colto l'occasione per fare con la sua maggioranza una figura da ignorante e spovveduta, nessun segno di interesse è venuto dai primi a essere coinvolti, i familiari del grande segretario del Movimento Sociale italiano. Questo dovrebbe far riflettere anche chi si fa promotore dell'intitolazione capitolina sul rischio di apparire strumentale e fuori tempo. Chi propone e chi gli si oppone sollevano un dibattito che vede gli avversari ripetere le stesse cose, più per farsi sentire dagli zeloti della propria parte che per dimostrare qualcosa agli avversari dell'altra. Il nome di Almirante viene usato per bassa politica e il vero rischio è che un giorno una forza politica voglia intitolare a Almirante un qualche pezzo di strada o di parco in una periferia, dove i vandali dell'altra parte si vada a esercitare.

Per me l'impresa politica di Giorgio Almirante è più grande di quella di Berlinguer. Saranno gli italiani di domani a intitolargli una bella strada, una bella piazza. Giorgio e Enrico meritano di più che essere pezzi di carta da sventolare per mettersi la coscienza a posto, rinfacciare qualcosa a qualcuno con posizioni che svalutano chi le prende o ripetere cose che interessano solo quattro zeloti. È la storia che fa la grandezza, non la commissione toponomastica del Comune di Roma.