ROTTA FUTURA

Letture- Agamben - Homo sacer. Il popolo.

Ogni interpretazione del significato politico del termine «popolo» deve partire dal fatto singolare che, nelle lingue europee moderne, esso indica sempre anche i poveri, I diseredati, gli esclusi. Uno stesso termine nomina, cioè, tanto il soggetto politico costitutivo quanto la classe che, di fatto se non di diritto, è esclusa dalla politica.

L'italiano popolo, il francese peuple, lo spagnolo pueblo (come gli aggettivi corrispondenti «popolare», «populaire», «populare» e tardo latini populus e popularis da cui tutti derivano) designano, tanto nella lingua comune che nel lessico politico, sia il complesso dei cittadini come corpo politico unitario (come in «popolo italiano» o in «giudice popolare») che gli appartenenti alle classi inferiori (come homme du peuple, rione popolare, front populaire). Anche l'inglese people, che ha un senso più indifferenziato, conserva però il significato di ordinary people In opposizione ai ricchi e alla nobiltà. Nella Costituzione americana si legge così, senza distinzioni di sorta, «We the people of the United States...»: ma quando Lincoln nel discorso di Gettysburg, invoca un «Government of the people by the people for the people», la ripetizione contrappone implicitamente al primo popolo un altro. Quanto questa ambiguità fosse essenziale anche durante la rivoluzione francese (cioè proprio nel momento in cui si rivendica il principio della sovranità popolare) è testimoniato dalla funzione decisiva che vi svolse la compassione per il popolo inteso come classe esclusa. H. Arendt ha ricordato «la definizione stessa del termine era nata dalla compassione e la parola divenne sinonimo di sfortuna e infelicità – le peuple, les malheureux-m’applaudissent, soleva dire Robespierre; le peuple toujours malheureux, come si scrive esprimeva persino Sieyès, una delle figure meno sentimentali e più lucide della rivoluzione» (Arendt I, pag. 78). Ma già in Bodin, in un senso opposto, nel capitolo République in cui viene definita la Democrazia, o Etat populaire, il concetto è doppio: al peuple in corps, come titolare della sovranità, fa il riscontro il menu peuple, che la saggezza consiglia di escludere dal potere politico.

Un'ambiguità semantica così diffusa e costante non può essere casuale: essa deve riflettere un’anfibolia inerente alla natura e alla funzione delle «popolo» nella politica occidentale. Tutto avviene, Cioè, come se ciò che chiamiamo popolo fosse, in realtà non un soggetto unitario, ma un'oscillazione dialettica fra due poli opposti: da una parte, l'insieme Popolo come corpo politico integrale, dall'altra il sottoinsieme popolo come molteplicità frammentarie di corpi bisognosi ed esclusi; là un'inclusione che si pretende senza residui, qua un’esclusione chi si sa senza speranze; ha un estremo, lo stato totale dei cittadini integrati e sovrani, all'altro la bandita-corte dei miracoli o campo - dei miserabili, degli oppressi, dei vinti. Un referente unico e compatto del termine «popolo» non esiste, in questo senso, da nessuna parte: come molti concetti politici fondamentali (simili, in questo, agli Urworte di Abel e Freud o alle relazioni gerarchiche di Dumont), popolo è un concetto polare, che indica un doppio movimento e una complessa relazione tra due estremi. ma ciò significa, anche, che la costituzione della specie umana in un corpo politico passa attraverso una scissione fondamentale e che, nel concetto «popolo», possiamo riconoscere senza difficoltà le coppie categoriaali che abbiamo visto definire la struttura politica originale: nuda-vita (popolo) ed esistenza politica (Popolo), esclusione e inclusione, zoé e bíos. Il «popolo» porta, cioè, già sempre in sé la frattura biopolitica fondamentale. Esso è ciò non può essere incluso del tutto nel tutto di cui fa parte e non può appartenere all'insieme in cui è già sempre incluso. Di qui le contraddizioni e le aporie cui esso dà luogo ogni volta che è evocato e messo in gioco nella scena politica. Esso è ciò che è già sempre e che deve, tuttavia, realizzarsi; è la fonte pura di ogni identità e deve, però, continuamente ridefinirsi le contraddizioni e le aporie cui Esso dà luogo ogni volta che è evocato e messo in gioco sulla scena politica. Esso è ciò che è già sempre e che deve, tuttavia, realizzarsi; è la fonte pura di ogni identità e deve, però, continuamente ridefinirsi e purificarsi attraverso l’esclusione, lingue, il sangue, il territorio. Ovvero, nel polo opposto, esso è ciò che manca per essenza a se stesso e la cui realizzazione coincide, perciò, con la propria abolizione; è ciò, che, per essere, deve negare, col suo opposto, se stesso (di qui le specifiche aporie del movimento operaio, volto verso il popolo e, insieme, teso alla sua abolizione). Di volta in volta vessillo sanguinoso della reazione e insegna malcerta delle rivoluzioni e dei fronti popolari, il popolo contiene in ogni caso una scissione più originaria di quella amico-nemico, una guerra civile incessante che lo divide più radicalmente di ogni conflitto e, insieme, tiene unito e costituisce più saldamente di qualunque identità. A ben guardare, anzi, ciò che Marx chiama lotte di classe e che, pur essendo sostanzialmente indefinito, occupa un posto tanto centrale al suo pensiero, non è altro che questa guerra intestina che divide ogni popolo e che avrà fine soltanto quando, nella società senza classi o nel regno messianico, Popolo e popolo coincideranno non vi sarà più, propriamente, alcun Popolo.

Se questo è vero, se il popolo contiene necessariamente al suo interno la frattura biopolitica fondamentale, sarà allora possibile leggere in modo nuovo alcune pagine decisive della storia del nostro secolo. Poiché, se la lotta fra i due «popoli» era certo in corso da sempre, nel nostro tempo essa ha subito un'ultima, parossistica accelerazione. A Roma, la scissione interna del popolo era sanzionata giuridicamente nella chiara divisione tra populus e plebs, che avevano ciascuno proprio istituzioni e propri magistrati, così come, nel Medioevo, la distinzione fra popolo minuto e popolo grasso corrispondeva a una precisa articolazione di diverse arti e mestieri; ma quando, a partire dalla rivoluzione francese il Popolo diventa il depositare unico della sovranità, il popolo si trasforma in una presenza imbarazzante e miseria ed esclusione appaiono per la prima volta come uno scandalo in ogni senso intollerabile. Nell'età moderna, miseria ed esclusione non sono soltanto concetti economici o sociali, ma sono categorie eminentemente politiche (tutto l'economicismo e il «socialismo» che sembrano dominare la politica moderna hanno, in realtà, un significato politico, anzi biopolitico).

In questa prospettiva, il nostro tempo non è altro che il tentativo - implacabile e metodico - di colmare la scissione che divide il Popolo, eliminando radicalmente il popolo degli esclusi. Questo tentativo accomuna, secondo modalità e orizzonti diversi, a destra e sinistra, paesi capitalisti e paesi socialisti, uniti del progetto - in ultima analisi vano, ma che si è parzialmente realizzato in tutti i paesi industrializzati - di produrre un popolo uno e indiviso. L'ossessione dello sviluppo è così efficace nel nostro tempo, perché coincide col progetto biopolitico di produrre un popolo senza frattura.

Lo sterminio degli ebrei nella Germania nazista acquista, in questa luce, un significato radicalmente nuovo. In quanto popolo che rifiuta di integrarsi nel corpo politico nazionale (si suppone, infatti, che ogni sua assimilazione sia, in verità, soltanto simulata), gli ebrei sono i rappresentanti per eccellenza e quasi simbolo vivente del popolo, di quella nuda vita che la modernità crea necessariamente al suo interno, ma la cui presenza non riesce più in alcun modo a tollerare. E nella luce la furia con cui il Volk tedesco, rappresentante per eccellenza del popolo come corpo politico integrale, cerca di eliminare per sempre gli ebrei, dobbiamo vedere la fase estrema della lotta intestinale che divide Popolo e popolo. Con la soluzione finale (che coinvolge, non a caso, anche gli zingari e altri inintegrabili), il nazismo cerca oscuramente e inutilmente di liberare la scena politica dell'occidente da quest’ombra intollerabile per produrre finalmente il Volk tedesco, come popolo che ha colmato la frattura biopolitica originale (per questi capi nazisti rivelano tanto ostinatamente che, eliminando ebrei e zingari, essi stanno, in verità, lavorando anche per gli altri popoli europei).

Parafrasando il postulato freudiano sulla relazione tra Es e Ich, si potrebbe dire che la bioepolitica moderna è retta dal principio secondo cui «dov'è nuda vita, un Popolo dovrà essere»; a patto, però, di aggiungere immediatamente che questo principio vale anche nella formulazione inversa, che vuole che «dov’è un Popolo, là vi sarà nuda vita». La frattura che si credeva di aver colmato eliminando il popolo (gli ebrei che ne sono il simbolo), si riproduce così nuovamente, trasformando l'intero popolo tedesco in vita sacra votata alla morte e in un corpo biologico che dev’essere infinitamente purificato (eliminando malati di mente e portatori di malattie ereditarie). E in questo modo, ma in modo analogo, oggi il progresso del progetto democratico-capitalistico di eliminare, attraverso lo sviluppo, le classi povere, non solo riproduce al proprio interno il popolo degli esclusi, ma trasforma in nuda vita tutte le popolazioni del terzo mondo. Solo una politica che avrà saputo fare i conti con la scissione biopolitica fondamentale dell'occidente potrà arrestare questa oscillazione e porre fine alla guerra civile che divide i popoli e le città della terra.

(Agamben, Homo sacer, il potere sovrano e la nuda vita. Giulio Einaudi editore, Contemporanea, Torino, 1995. pagg. 198-201)

COMMENTO

Sono tre pagine e mezzo e il testo è per necessità pesante. Lo ritengo utile perché propone una chiave di lettura per i fenomeni del secolo scorso (il libri è del 1995 e vi si parla sia dei lager nazisti che dei campi di concentramento della guerra in Yugoslavia) che sono proseguiti sotto altre forme in questi venti anni. Il tentativo di liquidare il popolo degli emarginati dal corpo del Popolo politico lo ritrovo nelle politiche eugenetiche contro le persone affette da sindrome di Down e altre patologie genetiche, l'assassinio di Eluana Englaro, Charlie Gard e Alfie Evans. Lo ritrovo nelle politiche di suicidio di stato contro i depressi e le persone marginali. Il fine vita di anziani e malati in cui viene coinvolto torbidamente l'interesse dello stato. La sacralizzazione dell'aborto. Lo status speciale che riceve la questione dell"antisemitismo, con la confusione inestricabile tra ebrei, giudei antichi, israeliani moderni, sionisti e vittime del genocidio nazista. La strage dei palestinesi, nuda vita di un popolo che è stato nazionale senza più attributi concreti se non quello della possibilità di essere fatto morire sia da Hamas, nel nome del martirio, che dai sionisti nel nome della eliminazione fisica di chi offende il diritto del popolo eletto alla terra promessa. Lo ritrovo nella divisione della Bosnia Erzegovina e nella pulizia etnica e religiosa in Kosovo, Armenia, Libano. La vendita delle donne yazide all'asta nell'indifferenza del mondo. Only fans e il resto del porno on line, mentre ipocritamente si vuole vietare la prostituzione come tale. L'imposizione dei vaccini per avere "solo corpi sani" e le altre estremizzazioni salutiste. Il tentativo di avere corpi e popoli che non inquinano, a impatto zero. I miti del lavoratore da casa e del nomade digitale, corpi utili alla frammentazione geografica del lavoro.