ROTTA FUTURA

LA FILOSOFIA INTERDETTA - di Flores Tovo

La filosofia, in quanto tale, viene intesa come pensiero profondo

LA FILOSOFIA INTERDETTA

(copiato da "Inchiostro nero", 27 settembre 2024)

La filosofia, in quanto tale, viene intesa come pensiero profondo, ossia come ricerca delle cause ultime. Il suo studio ha aperto poi ad altri campi di interesse come la logica, la politica, l’etica, l’estetica, la storia, la fisica e la scienza. Ma, in particolare, come ben sottolineò Aristotele, essa è indirizzata verso l’approfondimento della conoscenza dell’Essere e di Dio. E proprio per questo, la chiamò filosofia prima, per essere più tardi, casualmente, denominata metafisica.
Circa due millenni dopo, verso la metà dell’Ottocento in terra tedesca, patria del pensiero metafisico, cominciò ad innalzarsi il grido: “Keine Metaphisik mehr” (Niente più metafisica!). Nel frattempo in Francia A. Comte aveva fondato il Positivismo, che presto divenne un movimento che esaltava il sapere scientifico e tecnico. Una corrente di pensiero che in breve tempo divenne dominante in tutta Europa. L’ingegnere prendeva il posto del filosofo. Ci fu allora lo spostamento radicale del centro culturale egemonico, che era ancora metafisico-teologico, verso quello fisico-matematico: e ciò fu dovuto soprattutto agli straordinari progressi registrati in tutti gli ambiti tecnicoscientifici.
Anche a livello popolare si diffuse sempre più l’entusiasmo per le varie scoperte. Sebbene nel mondo letterario e filosofico si alzassero voci d’allarme che segnalavano le conseguenze psicologiche e sociali che tale evento comportava, il destino era segnato. L’ateismo di massa (la morte di Dio), le folle che a milioni abbandonavano le campagne per riversarsi sulle città, l’alienazione di una esistenza sempre più anonima, la perdita Gustave Caillebotte Paris Street, Rainy Day (1877) del senso comunitario, furono conseguenze epocali della industrializzazione capitalistica e della nuova tecnica, che il maggior benessere materiale compensava.
Il Positivismo nonostante ciò non era ancora riuscito, ai primi anni del ‘900, a demolire del tutto l’apparato metafisico che era presente nel pensiero di molti grandi filosofi e teologi e letterati: si pensi solo al movimento del Decadentismo o filosofi come Spengler ed Heidegger, o a Gentile (pensatori originali, ma pur sempre “metafisici”) e a teologi come Barth, Bonheoffer, Maritain, tanto per citarne alcuni. Bisognava quindi dare il colpo di grazia alla tanto vituperata metafisica, scaraventandola nella spazzatura delle cianfrusaglie inutili. In questo contesto di ripulsa emerse la figura di Ludwig Wittgenstein che fu l’ispiratore del cosiddetto Circolo di Vienna e del Circolo berlinese all’interno dei quali emersero, fra i tanti, “filosofi” come R. Carnap e H. Reichenbach.
Jove decadent, dipinto di Ramon Casas (1899) In un nostro recente saggio “Oltre lo scetticismo” abbiamo elencato i fondamenti del Circolo viennese, che qui ripetiamo: 1) lotta contro ogni forma di metafisica e teologia 2) l’empirismo e il verificazionismo come riferimento gnoseologico generale 3) l’uso della logica formale di tipo matematico come metodo di analisi CARNAP E L’ANALISI LOGICA DEL LINGUAGGIO 4) tendenziale matematizzazione di tutte le scienze, con lo scopo di creare una scienza unica Il “filosofo” che si distinse in questa battaglia fu comunque Rudolf Carnap, che nel 1932 scrisse sulla rivista berlinese “Erkenntnis” (Conoscenza), diretta dal suo sodale Hans Reichenbach, un saggio contro Heidegger, che gli procurò notevole consenso per lo scalpore suscitato. Il titolo era “Il superamento della metafisica mediante l’analisi logica del linguaggio”. La critica di Carnap, molto dura, fu indirizzata contro alcuni passi decisivi del saggio di Heidegger “Che cos’è la metafisica?”, che trattava il problema filosofico del Nulla.
Un’opera heideggeriana “minore”, ma importante, che fu pubblicata poco dopo il suo capolavoro “Essere e tempo”, che gli aveva recato fama mondiale. La critica di Carnap, tuttavia, non concerneva tanto il metodo della verificabilità empirica, poiché egli già riteneva che tutti gli scritti di Heidegger non fossero, di per sé, dotati di senso, in quanto non verificabili: ma che pure tutte le sue proposizioni erano prive di senso, se venivano considerate dal punto di vista della logica formale. Infatti in base ad una sintassi analitica (syntaxis “insieme-sistemazione”), ossia ad un coordinamento di tipo formale-matematico, si poteva constatare l’insensatezza del linguaggio heideggeriano. Carnap si avvalse della svolta rivoluzionaria compiuta dal matematico George Boole (1815-64): costui riuscì per la prima volta ad estendere il metodo simbolico matematico al linguaggio naturale, avviandone così la formalizzazione analitica, emancipando così le “ambiguità” e le “confusioni” del linguaggio comune. Di conseguenza, per mezzo di questa logica, tutto il linguaggio della metafisica veniva ad essere composto da pseudo-proposizioni prive di rigore razionale, e perciò incomprensibili.
***Sia detto, per inciso, che in realtà Heidegger era un filosofo che considerava tutta la metafisica occidentale, a partire da Platone per arrivare a Nietzsche ( per lui l’ultimo metafisico) come la “sede” di quell’ “oblio dell’Essere” che aveva trascinato l’esserci umano ad essere abbandonato da parte dell’Essere stesso, poiché la metafisica tradizionale aveva scambiato l’Ente (ossia il mondo fisico e l’ente umano) con l’Essere, che, in quanto principio della manifestazione degli enti, è di per sé indefinibile ed ineffabile. La metafisica avanzava la superba pretesa di conoscerlo, mentre lo si dimenticava. Resta il fatto che Heidegger adoperava il linguaggio comune della metafisica, che Carnap riteneva insensato, “flatus vocis”. Questa affermazione perentoria era sancita appunto dallo sviluppo della logica formale moderna. Precedentemente, il pensiero antimetafisico, a partire dagli scettici antichi fino a quelli moderni, per quanto fosse dotato di ottimi argomenti, non era riuscito a scalzare definitivamente la metafisica.
Solo la logica formale di tipo matematico forniva una nuova e più acuta risposta, che toglieva ad essa ogni legittimità e ogni valore gnoseologico. Infatti, se si applicava questo metodo, basato sulla logica del principio di non-contraddizione (A=A e A non è Non-A), nel campo delle scienze naturali, le proposizioni scientifiche, supportate dall’esperienza e verificate da prove adeguate, garantivano sempre un risultato positivo. Mentre nel campo della metafisica l’analisi logica conduceva sempre ad un risultato negativo, per cui, asserisce Carnap, “…le presunte proposizioni di questo ambito si dimostrano del tutto prive di senso”. Finalmente la metafisica era radicalmente sconfitta, poiché le sue pseudo-proposizioni violavano la sintassi della logica formale, pur se rispettavano la sintassi storico-grammaticale. Parole come essere, niente, sostanza, idea, dio, diavolo, bene, male, giustizia, ecc. ecc. sono incomprensibili. “I metafisici”, scrive ancora Carnap nel suo saggio, “non sono che dei musicisti senza capacità musicale”. Solo la filosofia della scienza è ammessa. Almeno Wittgenstein, pur considerando la metafisica “come ciò di cui non si può parlare”, ne ammetteva la possibile attività come autoterapia, sebbene egli, nell’insieme, la chiamasse “Il Mistico”. Nel caso di Carnap, invece, la radicalità antimetafisica è totale ed estrema.
Heidegger non gli rispose mai direttamente. Tuttavia alcuni accenni nei suoi confronti furono espressi in brevi scritti successivi a “Cos’è la metafisica?”, nei quali rimarcò il fatto che la sua filosofia era completamente opposta a quella di Carnap. Infatti, mentre costui era tutto impegnato nel dimostrare e nel deridere la vacuità del pensiero heideggeriano, soprattutto sulla questione del Nulla, in quanto parlare del nulla era puro esercizio verbale, Heidegger ribadì che la nuova metafisica doveva proprio partire da una profonda riflessione sul nulla stesso. Il nulla, annotava, non è assoluto, ma noi esserci umani lo sperimentiamo continuamente provando la situazione emotiva dell’angoscia, la quale ci fa comprendere che il nostro fondamento esistenziale è appunto un nullo fondamento, in quanto la morte è un traguardo insormontabile, a cui tutti siamo soggetti e che ci impedisce, vivendo, di sentirsi-a-casa-nostra. A Carnap e a tutti i filosofi analitici invece non interessava nulla dei sentimenti della vita, che vengono ignorati del tutto, poiché solo l’astratta correttezza logico-matematica, supportata da una conformità fornita dalla verificazione empirica, acconsente una conoscenza vera e valida.
Già Hegel più di un secolo prima avvertiva sul pericolo di fare dell’uso del numero e del calcolo il perno di un sistema educativo. “Il numero, scriveva, è un oggetto immateriale, e l’occuparsi del numero e delle sue combinazioni è una occupazione immateriale. Lo spirito vien quindi da cotesta occupazione obbligato alla riflessione in sé e ad un lavoro astratto, il che ha una importanza grande, ma unilaterale… così quella occupazione diventa priva di pensiero, meccanica. Lo sforzo consiste soprattutto nel fissare ciò che è vuoto di concetto. La sostanza della vita morale e spirituale… dovrebbe essere cacciata dall’Uno (il numero) privo di contenuto…Poiché il calcolare è una faccenda così estrinseca, epperò meccanica, si son potute costruir macchine, che compiono nella maniera più perfetta le operazioni aritmetiche. Quando attorno alla natura del calcolare non si conoscesse che questa sola circostanza, vi sarebbe in essa abbastanza da decidersi, che cosa si debba pensare di quella idea di far del calcolo il principale mezzo di educazione dello spirito, mettendo questo alla tortura di perfezionarsi fino a diventar macchina” (G.W.F Hegel, “Scienza della logica”, pp. 234-5 vol.I). Parole profetiche e definitive se pensiamo che oggi ci sono uomini famosi e potenti come Y.N. Harari, K. Schwab, E. Musk che propongono di impiantare dei chip nel nostro cervello per renderlo più efficiente. E in effetti lo scopo della filosofia analitica, prospetticamente collegata all’Intelligenza Artificiale, è proprio quello di ridurci a uomini-robot, a numeri che generano numeri.
Comunque, e per fortuna direi, il pensiero umano non nasce dal pensiero astratto calcolante in quanto tale. Prima di esso c’è il sentimento religioso e la potenza dei miti. Heidegger, meditando sulla “Analitica dei principi” e sugli “schemi trascendentali” di Kant, aveva dedotto che la comprensione (Verstehen) nasce in rapporto con l’intuizione temporale, che ci consente di progettare il futuro, che è la dimensione temporale originaria. Proprio per questo, gli uomini sono esserci, degli essere-gettati, dei poter-essere, caratterizzati perciò da una apertura verso il mondo e verso gli altri. La capacità di progettare è dovuta proprio a questa “caduta” intuitiva nel tempo: l’esserci umano, perciò, non sarà mai una macchina, perché i sentimenti, l’etica, il sacro, il bene, il bene, il giusto, ne sono parte costitutiva.
La filosofia della sintassi logica formale e dell’empirismo verificazionista è in realtà una anti-filosofia, che, questa sì, dovrebbe essere interdetta, e non la metafisica. Si può affermare, inoltre, in base a ciò che si è detto, che tale antifilosofia è una offesa contro l’essenza stessa del genere umano, in quanto ridotto a macchina calcolante.
Ma come è stato possibile che questi gnomi, immersi nella dimensione della degenerazione totaliter, abbiano potuto ottenere una così vasta adesione negli ambienti universitari e quindi nella cosiddetta società colta? La risposta è, in fondo semplice: questo pensiero apparentemente super-razionale si conforma completamente con l’Impianto Tecnico (“Das Gestell”) che cerca di determinare ogni aspetto della nostra vita. Il fine, come si sa, è quello di servire i Dominatori Finanziari. Il capitalismo nella sua ultima fase assoluta non ammette opposizioni di nessun genere e per questo ha creato la più subdola, insana e pericolosa dittatura totalitaria di tutti i tempi, nonostante i Dominatori si definiscano ancora liberali e democratici. La presunta “filosofia” dei Wittgenstein, dei Carnap, dei Popper altro non è che la patina superficiale che serve a celare la loro misera bruttura spirituale.
Del resto, i corifei che approvano questa distorsione psuedo-culturale dovrebbero porsi alcune semplici domande: sarebbe esistito il mondo classico senza Socrate, Platone o Aristotele? Il mondo alto-feudale cosa sarebbe stato senza Plotino e S. Agostino? E il tardo mondo medioevale avrebbe potuto generare la sua arte eccelsa, senza S. Tommaso e ancora Aristotele e Platone? Cosa ne sarebbe stato del mondo moderno senza Leibniz, Kant, Hegel e così via? Il loro pensiero metafisico, pur a volte disomogeneo, ha forgiato per millenni la storia dei popoli, che, senza una guida educativa, si sarebbe manifestata solo come caos disperante (che è proprio quello che sta attualmente avvenendo).
La nuova metafisica consiste oggi nella scelta di percorrere una nuova via in cui la fedeltà al proprio passato, il rispetto delle tradizioni, il recupero del senso comunitario, l’equilibrio nella distribuzione delle ricchezze ne rappresentano la meta. Se la eludiamo, c’è il baratro. E questa non è, purtroppo, una affermazione esagerata.


Flores Tovo