
Ho assistito ieri 21 febbraio alla conferenza di presentazione del libro di Cardini su Gaza, tenuta dall'autore. Ognuno potrà aver sentito una opinione solida e ben informata, con qualche punto su cui si potrebbe non essere stati d'accordo, non v'era motivo e spazio per il dibattito e l'autore è di valore: inutile fare discussioni.
Mi ha colpito però il fatto che in tre, forse quattro volte ha parlato di "quelli che credono nella soluzione di due popoli e due stati" come se fossero persone che devono accettare una diversa prospettiva. Cardini è Cardini, io sono un giornalaio, che lavora a nero e nullatenente, per di più; poco pesano i miei passati studi e lontane esperienze. Mi posso chiedere però quali sono le alternative che mi si presentano rispetto quella di due stati per due popoli. Partecipai a una manifestazione con questo slogan che finì sotto il Campidoglio, spingendo mia madre in sedia a rotelle, fu indetta nell'aprile del 2002 dal Foglio e vi partecipai per questo principio. Ho scritto molte volte su X #2Popoli2Stati, #StatiVeriPopoliVeri.
Vediamo le prospettive alternative. «Due popoli, uno Stato: quello palestinese,» mi dice un conoscente, con pretesa arguzia. È un po' come "dal fiume al mare", preconizza uno stato arabo nel quale ebrei e cistiani siano minoranze rispettate. Questo è uno slogan che mi dà un po' di disagio: chi lo ripete non vede cosa sta succedendo? Qual è la realtà dei fatti? Che per ogni israeliano ucciso o ferito gli arabi hanno venticinque morti, cinquanta feriti? Che i carri armati marciano sui campi profughi? Che Gaza è stata demolita? Quale forza, quale volontà, quale strumento può ribaltare la prevalenza e la vittoria delle armi israeliane nel breve e medio periodo? Nessuno. Forse uno lo può continuare a ripetere e immaginare quell'esito se è vittima di illusioni, è accecato dal rancore o dalla rabbia; una persona matura che guarda alla situazione oggettiva, sulla pelle dei palestinesi, vede che non c'è alcuna possibilità che, come chiedeva Hamas nelle sue parole, "sparisca l'entità sionista". È impossibile, lo dice solo Hamas e coloro che si divertono a ripeterne i vuoti discorsi bellicosi. Predicono questi fanatici la vittoria futura, la vittoria finale, nel lungo periodo, la vittoria che deve arridere un giorno lontano a chi è nel giusto. E intanto? Intanto che succede? Donne e bambini arabi continueranno a morire? Gli israeliani lasceranno che giunga quel tempo senza dirottarlo? O non lavoreranno per schiacciare nel tempo degli anni i palestinesi combattenti, offrendo il martirio a tutti quelli che lo chiedono, e aggiungendo anche vittime involontarie per buon peso, come fanno adesso e da sedici mesi e facevan da prima? Questo è il discorso di Hamas, che è costato ai civili di Gaza centinaia di migliaia di morti e feriti. Vediamo i risultati di Hamas: i suoi capi sono morti, i miliziani sconfitti in combattimento, tunnel e centri operativi demoliti. Gaza è stata demolita. Niente ospedali, scuole, moschee, pure le strade sono state arate. Il popolo di Gaza vive da profugo in casa propria. I soldati e i coloni prendono le case e le terre degli arabi. È una sconfitta militare decisiva. Vediamo le prospettive di Hamas: l'unica cosa che hanno è la gestione del territorio residuo e la distribuzione di cibo e medicine agli abitanti di Gaza. Se perdessero questo controllo verrebbero sostituiti. Per sopravvivere hanno una sola via: mettersi d'accordo con gli americani e gli israeliani. In fondo a Tel Aviv non hanno motivo di liberarsi di Hamas: nessun sionista, nei suoi sogni più rosei, avrebbe immaginato di arrivare ai risultati a cui sono arrivati grazie alle iniziative di Hamas. Gaza occupata, frantumata la Cisgiordania, scomparsa di qualsiasi velleità di pace tra gli israeliani, rinfocolato il sacro odio e desiderio di vendetta tra i due popoli. Sono arrivati a poter rivendicare impunemente alla Knesset gli stupri di Sde Teiman. Se io fossi sionista spenderei più di una parola per la sopravvivenza a Gaza di Hamas: sono perfetti per i miei scopi. Se Hamas continuerà a lanciare razzi e a organizzare attentati, in Israele saranno sempre giustificati a martellare gli arabi, a negargli, con la scusa della sicurezza nazionale, acqua e fuoco. L'utilizzo del metodo terroristico da parte di Hamas non ha inciso sulla volontà di combattere del pubblico israeliano e non ha scosso quello occidentale, inoltre ha permesso a Tel Aviv di giustificare l'impiego di suoi metodi di terrore, più grandi e più estesi; l'uso del terrorismo generalizzato è dunque un metodo di guerra inefficace e dannoso per il popolo palestinese.
A sedici mesi dal 7 ottobre dell'idea di una Stato palestinese - di cui abbiamo, quanto crediamo ai nostri sogni di giustizia e di pace! chiesto il riconoscimento - è rimasto solo l'estremo elemento fondamentale: la nuda vita del popolo arabo di Palestina. Il massimo che Israele potrà ipotizzare per quella popolazione è uno stato fantoccio gestito insieme ad Hamas, arabi collaborazionisti e organismi internazionali, tutti bene attenti che i palestinesi vivano in stato di prostrazione perenne. Come variazione potrebbero fare delle azioni cosmetiche di federazione o concessione di parziale cittadinanza o stati speciali. In sostanza la soluzione più probabile è quella di uno Stato, Israele, per due popoli, gli ebrei, cittadini di pieno diritto e privilegiati, e i non ebrei, cittadini limitati e impediti.
Cardini dice che "due popoli, due stati" non si farà: sono d'accordo di quanto sia un sogno lontanissimo. "Dal fiume al mare" è impossibile, a ripeterlo sono fanatici che hanno bisogno per qualche motivo di vedere scorrere il sangue dei palestinesi. Rimane "Grande Israele", concetto nel quale la grandezza è solo geografica e opinabile, sia qualitativamente che quantitativamente; uno staterello con sette milioni di abitanti di pieno diritto che devono aver paura di viaggiare all'estero e che fanno aver paura di uscire di casa ai correligionari in tutto il mondo. Resta il fatto come tale. Greve, duro. I sionisti sono i più forti e fanno quello che vogliono, rubano, ammazzano, invadono. Nell'attesa delle altre due soluzioni, questa è la sistemazione che ci si prospetta nel breve periodo. Chiunque dovrà trarre conseguenza. Chi accetta il discorso sionista forse si porrà domande sulla sua sostenibilità, per ora si congratula con quei fanatici. Chi continuerà a parlare di lotta per la scomparsa o mutilazione della "entità sionista" aggiungerà benzina al rogo dei sionisti su cui bruciano i palestinesi. Chi voleva due Stati per due popoli vorrà lottare per i diritti del popolo palestinese, diritti veri, da popolo vero. Stesse scuole e stessi diritti all'educazione. Stesse case e stessi diritti alla vita. Stesse proprietà e stessi diritti alla giustizia. Stessi ospedali e stesso diritto ala salute. Cosa possiamo chiedere adesso se non questo? Chi lo può chiedere se non noi? Non vorremo che i palestinesi vengano portati a dire: «È bello essere un Delta, perché essere un Delta è bello» (cit.). Perché un giorno la stessa cosa potrà essere fatta a noi; è un impegno tanto più importante tanto più è profondo l'affossamento dei diritti dei civili palestinesi. Se crediamo nell'appartenenza al popolo come condizione dell'individuo allora crediamo nel popolo come fatto vero; a un popolo vero corrisponde un Stato vero. La rinuncia a difendere l'idea di un popolo vero con uno Stato vero porta alla scomparsa di entrambi. In Terra santa ci sono almeno due popoli: se difendiamo l'idea di due popoli, ci saranno due stati. Se ne scompare uno per colpa del secondo, anche l'altro cadrà.
Nota in calce: la corrispondenza tra popolo e Stato potrebbe sembrare non vera a fronte dell'esistenza degli zingari, in questa discussione non possiamo approfondire l'argomento.
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