Ho detto "Aprite la scuola"
Qualche giorno fa ho messo uno striscione.
Mia moglie insegna, ho due figli nella scuola dell'obbligo: non ho messo lo striscione per loro.
Tutti i giorni li sento che cercano di fare al meglio la didattica a distanza e ora per ora sento quanto sia inferiore, insufficiente, povero come metodo educativo.
Il ministro Azzolina ci ha informato che la didattica è seguita dal 94% degli studenti, cioè il 6% degli studenti ha perso il diritto allo studio per intero. È per loro che ho attaccato lo striscione: la scuola è un diritto dei più deboli. Dei ragazzi stranieri, della famiglie
a bassa scolarizzazione.
I miei figli hanno ottimi voti, anche perché sono figli di due laureati. Ho messo lo striscione per quei loro compagni che conosco benissimo e che a scuola vanno maluccio. L'ho messo per i ragazzi con i BES, o nello spettro autistico, che hanno bisogno della socializzazione, della didattica presente e direttiva. La scuola è un diritto per il bene dei ragazzi più in difficoltà e un dovere che grava sulle spalle degli adulti più colti come me.
Mi onoro di essere padrino di battesimo di una bambina rom e dell'amicizia dei ragazzi gitani del mio quartiere; vengono da famiglie quasi analfabete che si sono sforzate di mandarli a scuola. Due di loro hanno preso il diploma di terza media grazie alla scuola del quartiere, altri frequentavano, con tutte le difficoltà che li riguardano. La didattica a distanza li ha privati della scuola presente, attiva, che li può aiutare a uscire come comunità dall'abisso dell'analfabetismo. Lo striscione sta li per loro.
La scuola non è un parcheggio per i miei figli o un modo per mandare mia moglie al lavoro, fuori casa.
La scuola è il futuro, il diritto alla salute generico non deve schiacciare il diritto allo studio di chi non può far sentire la sua voce.